Ilva is a Killer

WJ#155

 

Taranto non respira

Esiste una città che vive all’ombra di un colosso industriale che, sin dalla sua nascita nel 1965, ha riscritto la geografia urbana e biologica del territorio. L’ex Ilva, ora Acciaierie d’Italia, dopo l’ingresso di ArcelorMittal e dello Stato tramite Invitalia nel 2021, rappresenta il più grande complesso siderurgico d’Europa. Con i suoi 15 milioni di metri quadrati, l’impianto ha plasmato non solo l’economia locale, ma anche le condizioni di vita della popolazione e l’equilibrio ambientale dell’area circostante.

Nel 1998, Taranto è stata dichiarata Sito di Interesse Nazionale (SIN) per la bonifica ambientale, a causa del grave stato di contaminazione del suolo, del sottosuolo, delle falde acquifere e dell’atmosfera. Il SIN comprende circa 4.383 ettari, di cui una parte significativa ricade all’interno del perimetro industriale. Tuttavia, ad oggi, solo 5 ettari risultano bonificati e certificati. Mentre, quasi la metà dell’area non è mai stata oggetto di indagini ambientali, e le falde acquifere continuano a essere contaminate.

Quando soffia il maestrale, le polvere sottili si diffondono nei quartieri residenziali, colorando di rosso i balconi e infiammando i polmoni degli abitanti. Secondo i più recenti rapporti di ARPA Puglia, nel quartiere Tamburi, situato a ridosso dello stabilimento, i livelli di PM10 e PM2.5 superano di gran lunga i limiti raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). In alcuni giorni, le concentrazioni rilevate sono oltre il doppio del valore soglia previsto per il PM10 (15 µg/m³). In quest’area si è registrato un aumento della mortalità infantile del 54% rispetto alla media regionale. Le patologie più frequenti includono malattie respiratorie croniche, tumori polmonari, neoplasie infantili e disturbi del sistema endocrino e cardiovascolare. Uno studio dell’Università di Bari, pubblicato nel 2023, ha stimato che l’inquinamento atmosferico generato dall’ex Ilva sia correlabile a circa 2.140 decessi prematuri nell’arco di dieci anni.

La città attende da decenni una vera transizione ecologica, più volte annunciata, ma mai realmente avviata. I piani di riconversione dell’area industriale – dalla produzione di acciaio a idrogeno alla chiusura progressiva degli impianti più inquinanti – sono rimasti sulla carta. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) prevede risorse per le bonifiche, ma gli iter procedurali si rilevano lenti, disorganici e spesso ostacolati da ricorsi o inadempienze. Nel frattempo, Taranto continua a pagare un prezzo altissimo: in termini di salute, qualità della vita e fiducia nelle istituzioni. Il diritto al lavoro, rivendicato con forza dagli operai dello stabilimento, si scontra tragicamente con il diritto alla salute dei cittadini. È lo specchio di una realtà sempre più diffusa: la crisi climatica e ambientale non è un evento futuro, ma una ferita già aperta, con nomi, volti e numeri.

Il reportage

Scheda autore

Francesco Trondo

Francesco Trondo è fotografo, tarantino, classe 1987. Lavora nel campo del cerimoniale, settore spesso trascurato nei circuiti della fotografia d’autore, ma che gli ha permesso di consolidare uno sguardo umano, paziente, radicato nei ritmi delle comunità. Accanto a questo lavoro, coltiva una pratica fotografica militante, di documentazione sociale e urbana.

 

English version

Ilva is a killer

Photo by Francesco Trondo

Text by Cosimo Calabrese e Sarah Taranto

Taranto Can’t Breathe

There is a city that lives in the shadow of an industrial giant that, since its birth in 1965, has rewritten the urban and biological geography of its territory. The former Ilva plant, now Acciaierie d’Italia—following the entry of ArcelorMittal and the Italian state via Invitalia in 2021—is the largest steel production complex in Europe. Spanning 15 million square meters, the plant has shaped not only the local economy but also the living conditions of the population and the environmental balance of the surrounding area.

In 1998, Taranto was declared a Site of National Interest (SIN) for environmental remediation due to the severe contamination of soil, subsoil, groundwater, and air. The SIN covers approximately 4,383 hectares, a significant portion of which falls within the industrial perimeter. However, to date, only 5 hectares have been cleaned up and certified. Nearly half of the area has never been subjected to environmental investigation, and groundwater remains polluted.

When the mistral wind blows, fine dust spreads into residential neighborhoods, turning balconies red and inflaming the lungs of residents. According to the most recent reports from ARPA Puglia, in the Tamburi neighborhood—located right next to the plant—levels of PM10 and PM2.5 far exceed the limits recommended by the World Health Organization (WHO). On some days, recorded concentrations are more than double the threshold value for PM10 (15 µg/m³). In this area, infant mortality is 54% higher than the regional average. The most common health issues include chronic respiratory diseases, lung cancer, childhood cancers, and disorders of the endocrine and cardiovascular systems. A study by the University of Bari, published in 2023, estimated that air pollution from the former Ilva could be linked to approximately 2,140 premature deaths over a ten-year period.

The city has been waiting for decades for a real ecological transition—announced many times, but never truly initiated. Plans to convert the industrial area—from hydrogen-based steel production to the gradual closure of the most polluting facilities—remain only on paper. The National Recovery and Resilience Plan (PNRR) includes funding for environmental cleanup, but the procedural steps have proven to be slow, disorganized, and often obstructed by legal appeals or noncompliance.

In the meantime, Taranto continues to pay a heavy price: in terms of public health, quality of life, and trust in institutions. The right to work—fiercely defended by the plant’s workers—tragically collides with citizens’ right to health. It reflects a growing global reality: the climate and environmental crisis is not a future event, but a wound already open—with names, faces, and numbers.