Il Rwanda rinasce dalle donne
WJ #121Era il 7 aprile del 1994. Il giorno in cui, in Rwanda, iniziò uno dei più terribili genocidi della storia recente, un massacro in cui morirono ottocentomila persone. Mezzo milione di donne, violentate e traumatizzate, si salvarono miracolosamente. Sono le rescapés: sopravvissute. Oggi, come ieri, sono queste donne a fare di nuovo grande il Rwanda. E a ricordarci che dall’inferno si può tornare, e ricostruire.
“Anche se passa le sue giornate altrove Dio ritorna ogni notte in Rwanda” (antico proverbio rwandese)
Yvonne Ingabire Tangheroni, ha nove anni quel 7 aprile del 1994. Dopo aver perso la sua famiglia si ritrova in un campo profughi Hutu in Congo, dove rimarrà a lungo, vittima di violenze, prima di essere ritrovata dai superstiti della sua famiglia. Yolande Mukagasana, invece, durante quei sanguinosi cento giorni perde il marito e i figli e riesce a salvarsi anche lei miracolosamente attraverso l’aiuto di una donna Hutu, Jacqueline Mukansonera. Le storie di Yvonne e Yolande sono le storie di tante altre centinaia di donne scampate a un genocidio di inimmaginabile crudeltà. In cento giorni di follia e di orrore vennero massacrate a colpi di arma da fuoco, machete e bastoni chiodati, circa un milione fra uomini, donne e bambini di etnia Tutsi e una minoranza di Hutu moderati. Una mattanza omicida che avvenne nell’assurda e incredibile indifferenza della Comunità Internazionale. I principali responsabili dell’eccidio furono le milizie Interahamwe e Impuzamugambi, gruppi paramilitari addestrati ed equipaggiati dalle stesse forze governative fedeli al defunto presidente del Rwanda Juvénal Habyarimana. L’aereo sul quale volava il dittatore Habyarimana insieme al presidente del Burundi Cyprien Ntaramira era stato abbattuto il 6 aprile da ignoti scatenando la furia dei suoi fedelissimi. La gravità del genocidio, che già di per sé, era un atto deprecabile, fu amplificata dalla particolare crudeltà delle esecuzioni, precedute dalle peggiori nefandezze come quello che fu definito lo “stupro etnico”, utilizzato come vera e propria arma da guerra, e le mutilazioni. Furono infatti soprattutto le donne a essere massacrate dopo aver subito violenze di ogni tipo.
Ogni anno, il 7 aprile, è il giorno della memoria di quelle interminabili settimane di orrore e sangue. Mentre per il resto del mondo queste celebrazioni servono per non dimenticare e per far sì che eventi simili non accadano mai più, per i ruandesi sopravvissuti al genocidio e anche per le nuove generazioni, si tratta di una ferita aperta e di un ricordo sempre vivo.
Ma quella del Ruanda di oggi è una storia di rinascita, che parte soprattutto dalle donne. Dalle sopravvissute a quel vortice di follia e crudeltà senza senso.
Yvonne, adottata da una famiglia italiana, attualmente è impegnata alla Caritas internazionale e sostenitrice di una scuola in Rwanda. Yolande dopo il genocidio si rifugia in Belgio dove, nel 1999, ottiene la cittadinanza. È qui che inizia la sua attività di scrittrice e di attivista cercando di portare a livello internazionale l’attenzione sulla tragedia che ha colpito il suo paese. Yolande partecipa nel 2006 alla fondazione della Onlus Bene Rwanda, con la quale continua a lavorare per portare la sua testimonianza in Italia e nel resto del mondo e nel 2011 il suo impegno viene celebrato con una targa nel Giardino dei Giusti di Genova. Le storie di queste donne, sono emblematiche di una rinascita possibile, che è avvenuta anche nel Rwanda stesso, con chi, dopo la tragedia, è rimasta nella sua terra, per ricominciare.
Il paese “dalle mille colline”, negli anni dopo il genocidio, è riuscito a risollevarsi da una distruzione quasi totale e a riproporsi come un modello di sviluppo e pace sociale per l’Africa intera. E in larga parte questo è merito delle rescapés, le sopravvissute.
In Rwanda, attualmente, ci sono rappresentanti delle donne a ogni livello amministrativo, dal villaggio fino allo Stato, attraverso l’istituzione nota come National Women Council (Nwc). Ventisette anni dopo il genocidio dei Tutsi, questo è il paese con il più alto numero di donne parlamentari al mondo grazie anche a una legge costituzionale del 2008 che impone quote rose per un minimo del 30% ad ogni livello di rappresentanza. Il risultato è che dopo le ultime elezioni parlamentari del 2018, il 61,3% degli eletti, secondo gli ultimi dati della Banca Mondiale, è donna. Inoltre è stata approvata la legge 59/2008 per la prevenzione e la punizione del crimine di violenza di genere, tra le cui forme viene anche riconosciuto lo stupro coniugale e la poligamia. Fino al 2018, una donna rwandese è stata Ministra degli Esteri: è Louise Mushikiwabo, attualmente a capo dell’Organizzazione Internazionale della Francofonia (Oif). Lo stesso fratello di Louise, Lando Ndasingwa, leader del partito liberale, venne ucciso per mano degli estremisti, e con lui sua moglie e i loro due bambini, massacrati nel primo giorno del genocidio.
Più della metà dei sopravvissuti al massacro è costituita da donne. Donne sono anche la maggioranza di coloro rimaste in Rwanda dopo la fuga dei carnefici in Congo. Per ricostruire il Paese, diventava perciò necessario coinvolgerle attivamente in ambito economico e politico. Al di là delle numerose presenze femminili oggi in Parlamento e al governo, ci sono infatti anche le donne dei quartieri popolari di Kigali, la capitale, molte delle quali si sono organizzate in associazioni create da donne per le donne con l’intento di promuovere istruzione, formazione ai mestieri e avviamento al lavoro. Certo, il Rwanda reca ancora le tracce del genocidio. Ogni famiglia ne è stata in un modo o nell’altro colpita. Spesso le vittime venivano uccise da quelli che fino a poco tempo prima erano i loro vicini di casa o conoscenti e amici. Il trauma è ancora percepibile nel tessuto sociale di questo popolo. Ma le donne hanno avuto e continuano ad avere un ruolo di rinascita importante, non solo dal punto di vista politico ed economico ma anche sociale e spirituale. Tra il desiderio di innovazione e modernità e le inevitabili conseguenze delle tragedie passate, contribuiscono in modo determinante e ricostruire la trama di un popolo e di una terra lacerata ancor oggi dal dolore.
Berenice ha cinque anni e fino a quel terribile giorno in cui assiste al massacro della sua famiglia a Kigali, non sapeva nemmeno cosa fosse una differenza di etnia. Bibi è sopravvissuta grazie all’aiuto di un vicino di casa hutu moderato che spacciandola per sua figlia l’ha salvata dalla morte sicura. Oggi, dopo essere stata aiutata dal progetto Rwanda Onlus, vive a Roma, ed è laureata in medicina. La sua incredibile storia è stata raccontata nel libro “Dall’Inferno si ritorna” della giornalista Christiana Ruggeri, inviata del TG2 ed esperta della questione femminile e minorile nei paesi del sud del mondo. Il libro è una storia di dolore e di riscatto. Una piccola donna che diventa il simbolo di un paese ferito che ancora oggi, come una sfida continua, cerca di rinascere dalle ceneri di un orrore difficile da dimenticare nonostante siano trascorsi ventisette anni. “Senza le donne, il Rwanda sarebbe stato cancellato dalle carte geografiche” racconta Christiana “le donne ruandesi hanno dimostrato e dimostrano tutt’ora una forza d’animo che va oltre l’immaginabile, così forte da ricostruire lo spirito di un paese e di un popolo distrutto. Per il libro che avevo intenzione di scrivere sul genocidio contattai molti sopravvissuti e quella di Bibi doveva inizialmente essere una delle tante storie, ma poi quando la conobbi e seppi ciò che aveva passato in quei giorni di orrore, in quale modo era incredibilmente sopravvissuta, capii che era solo lei la protagonista della storia che dovevo raccontare. Lei era il simbolo di tutte le donne scampate dalla follia omicida di quei giorni. Accanto all’orrore della sua vicenda ho visto un filo rosso pieno di luce che ha trasportato dal tunnel del dolore e della paura lei e le altre donne che hanno vissuto quel trauma e mi sono fatta travolgere dalla potenza della sua storia”. Un storia che anche oggi merita di essere ricordata. In quanto esempio e simbolo di rinascita possibile anche dall’orrore.
“Il Rwanda è riuscito a risorgere dalle ceneri di un vero e proprio inferno con l’aiuto prezioso di donne coraggiose e continua a proseguire nella sua seppur ancora faticosa crescita”. Racconta Ilaria Buscaglia, antropologa culturale da anni residente in Rwanda, dove ha lavorato sia per l’Università Nazionale sia per diverse ONG. Associazioni come il Nyamirambo Women Centre, un centro avviato con l’intento di promuovere istruzione, formazione ai mestieri e avviamento al lavoro di donne povere o svantaggiate, e la Cooperativa Dushyigikirane di Gatenga, due laboratori di sartoria in due quartieri popolari di Kigali, sono due esempi virtuosi di rinascita possibile.
Inoltre, per queste donne, è un modo di onorare coloro che non ci sono più, i familiari e gli amici: ricostruire insieme il Rwanda, come un popolo solo. A noi invece il compito di ricordare, per non perdere il senso della storia e onorare, per quanto possibile attraverso le parole e le azioni di solidarietà, la memoria delle vittime.