Il quotidiano che non è ovvio

WJ #96

La paura di coloro che sbrigativamente ed in maniera dispregiativa ancora oggi vengono chiamati “zingari” è una paura che accompagna le società europee fin dagli albori della modernità: è paura dell’altro, del diverso, del non assimilabile.

Nel corso di secoli, nei confronti degli “zingari” sono state messe in atto politiche repressive talvolta estremamente violente.

Nel secondo dopoguerra, nell’ambito dei forti processi di urbanizzazione avvenuti in tutto il continente europeo, l’emarginazione subìta da queste popolazioni si è cronicizzata. La loro presenza sul territorio è stata via via sempre meno tollerata dalla maggioranza della popolazione, cosa che, soprattutto in Italia, ha spinto le autorità a trattare la presenza di Sinti e Rom quasi unicamente come un problema di ordine pubblico. Eppure le comunità di rom, sinti e camminanti in Italia sono lo 0,23% della popolazione e rappresentano uno dei gruppi più piccoli d’Europa.

Sul finire dello scorso secolo la creazione in Italia dei cosiddetti “campi sosta” o “campi nomadi” ha di fatto determinato un nuovo paradigma sociale di esclusione. Concepiti come soluzione temporanea, nel volgere di pochi anni questi campi sono diventati realtà stabili situate in zone per lo più periurbane, all’interno delle quali intere comunità Sinti e Rom ancora oggi vivono. «Lo Stato italiano non si impegna affinché ci sia chiarezza sui rom» ha dichiarato al Sole 24 ore Marcello Zuinisi, rappresentante legale di Nazione Rom, associazione nazionale che si occupa di promuovere l’integrazione e l’inclusione dei rom. «Ci sarebbe un ufficio contro le discriminazioni razziali (UNAR), istituito nel 2003, che dovrebbe monitorare la presenza rom e l’applicazione della Strategia nazionale d’inclusione dei rom, dei sinti e dei camminanti in attuazione della comunicazione della Commissione europea n.173/2011. Però solo la Liguria ha creato un tavolo istituzionale che ha coinvolto i rom come componente attiva delle contrattazioni per migliorare l’integrazione e le condizioni di vita di rom e sinti».

Ma cos’è realmente un campo nomadi? L’immagine stereotipata fatta di roulottes sgangherate e di contesti di vita al limite della legalità che ci viene spesso restituita dai media rappresenta veramente la realtà di tutti i campi? E lo stare al loro interno rappresenta davvero l‘unica prospettiva di vita desiderabile per queste popolazioni? Queste sono alcune delle domande che Sergio Ferri si è posto quando ha cominciato a scattare fotografie nel campo nomadi di Piacenza, dove risiedono stabilmente circa 120 persone di etnia Sinti.

Il reportage

Scheda autore

Sergio Ferri

[:it][:it]Sergio Ferri (1968) vive e opera a Piacenza, dove gesti- sce, con altri soci, uno studio fotografico. Dopo la laurea in filosofia ha lavorato per diversi anni nell’ambito della cooperazione sociale. A livello fotografico da tempo ha sviluppato una specifica attenzione nei confronti del pae- saggio urbano e dei fenomeni sociali emergenti (immigra- zione, marginalità sociale) indagati a piu’ riprese nell’arco dell’ultimo decennio. Attualmente sta portando avanti un progetto relativo ai combiamenti intervenuti nel mondo del lavoro in collaborazione con CGIL.[:][:]

Fotocamera: Nikon D4s
Obiettivo: 24-70mm

English version

[:it][:it]

A not obvious everyday life

 

Photography by Sergio Ferri

Story edited by Antonio Oleari

 

What really is a nomad camp? Does the stereotypical image represent the reality of all camp? And does being inside them really represent the only prospect of desirable life for these populations?

 

The one of those who hastily are still called Gypsies is a fear that has accompanied European societies since the dawn of modernity: it is fear of the other, of the different, of the non-assimilable. Over the centuries, sometimes extremely violent repressive policies have been implemented against Gypsies.

 

After World War II, in the context of the strong urbanization processes that took place across the European continent, the marginalization suffered by these populations became chronic. Their presence on the territory has been gradually less tolerated by the majority of the population, which, especially in Italy, has pushed the authorities to treat the presence of Sinti and Roma almost exclusively as a problem of public order.

 

What really is a nomad camp? Does the stereotypical image represent the reality of all camp? And does being inside them really represent the only prospect of desirable life for these populations?

 

These are some of the questions Sergio Ferri asked himself when he began taking photographs in the nomad camp of Piacenza, where around 120 Sinti people live.[:][:]