Il Friuli che nessuno conosce

WJ #127

“Esploro, con uno sguardo antropologico, i temi che più caratterizzano quest’area, come l’emigrazione e lo spopolamento dei piccoli villaggi. Questi fenomeni hanno minato le basi della trasmissione orale e della sopravvivenza della memoria e delle antiche tradizioni. È una tendenza nazionale che alimenta l’immagine della montagna come terra di solitudine e di fatica.”

Davide Degano

Le conseguenze di un mondo sempre più globalizzato e globalizzante, relative all’omologazione di persone, spazi, attività e strutture sociali ed economiche, si fa sentire tanto nel generale quanto nel particolare.

La microstoria, costituita da eventi ed esperienze che non finiscono nei manuali scolastici o universitari, viene ripescata all’ultimo tramite la documentazione visiva. È in questo contesto che si colloca “Sclavanie” di Davide Degano; il lavoro si presenta come un’analisi etnografica della slavia friulana, una realtà complessa, minuziosamente suddivisa in borghi e piccoli paesi che ritrovano paradossalmente la propria unità nella diversità etnica e culturale, inserita principalmente tra le montagne e le valli del Friuli Venezia-Giulia a confine con la Slovenia e piccola parte dell’Austria.

Le immagini vertono sulla valorizzazione delle differenze, intese non come elemento di divisione, ma come punto di forza di una serie di microcosmi che comunicano tramite lingue fluide, che sopravvivono proprio grazie a coloro che non si sono riversati sulle pianure o nelle città. Il racconto visivo pone l’osservatore di fronte a diversi interrogativi riguardo le strutture tradizionali e culturali di questi villaggi, che rischiano costantemente di essere fagocitate dall’industrialismo dilagante da circa 70 anni a questa parte.

Il lavoro di Degano funge da monito e da archivio, da documento grezzo ma delicato al tempo stesso, da tributo a tutto ciò che rischia di scomparire, ma che timidamente resiste alle intemperie della contemporaneità.

Il reportage

Scheda autore

Davide Degano

Il Friuli che nessuno conosce 16

Davide Degano si è laureato alla Royal Academy of Art (KABK) all’Aia, ha partecipato a diverse mostre collettive e personali sia a livello nazionale che internazionale e ha pubblicato il suo ultimo lavoro “Sclavanie” con Penisola Edizioni. Usa il mezzo fotografico come strumento con cui esplora e riflette su questioni contemporanee legate alla sua esperienza, al rapporto tra locale e globale, e al potenziale relazionale del rapporto fotografo-soggetto. È rappresentato da Studiofaganel, a Gorizia.

Fotocamera: Mamiya RB67

English version

Valori in campo

Photography by Davide Degano

Story edited by Manuel Beinat

 

“I explore, with an anthropological gaze, the themes that most characterize this area, such as emigration and the depopulation of small villages. These phenomena have undermined the basis for the oral transmission and survival of memory and ancient traditions. It is a national trend that feeds the image of the mountain as a land of loneliness and fatigue.”

Davide Degano

The consequences of an increasingly globalized and globalizing world, related to the homologation of people, spaces, activities and social and economic structures, is felt in the general as well as in the particular.

The micro-history, consisting of events and experiences that do not end up in school or university textbooks, is displayed through visual documentation. It is in this context that Davide Degano’s “Sclavanie” is placed; the work presents itself as an ethnographic analysis of the “slavia friulana”, a complex reality, minutely subdivided into villages and small towns that paradoxically find their unity in the ethnic and cultural diversity, inserted mainly between the mountains and valleys of Friuli Venezia-Giulia on the border with Slovenia and a small part of Austria.

The images focus on the enhancement of the differences, understood not as an element of division, but as a point of strength of a series of microcosms that communicate through fluid languages, which survive precisely thanks to those who have not flocked to the plains or cities. The visual narrative confronts the viewer with several questions about the traditional and cultural structures of these villages, which are in constant danger of being engulfed by the industrialism that has been rampant for the past 70 years or so.

Degano’s work serves as a warning and as an archive, as a raw but at the same time delicate document, as a tribute to everything that risks disappearing, but that timidly resists the ravages of contemporaneity.