Ida Viruma, zona di sacrificio
WJ #132«Con la nozione di zona di sacrificio si intende comunemente definire quei territori su cui vengono sistematicamente scaricate le esternalità negative della produzione capitalista poiché ritenuti sacrificabili in nome del profitto»
Paola Imperatore
Blu, nero e bianco sono i colori della bandiera estone che ricordano gli elementi tipici del paesaggio: il cielo, le fitte foreste scure e la neve bianca al suolo. L’ultima striscia di terra prima del confine con la Russia però tradisce quei colori: nella regione di Ida-Viruma l’impatto della mano dell’uomo è forte. Un territorio con una lunga tradizione nell’estrazione e produzione di petrolio di scisto, un carburante inefficiente e molto inquinante.
Nella pianeggiante Estonia le uniche vette che compaiono all’orizzonte sono di cenere. Montagne alte centinaia di metri create con gli scarti della lavorazione dello scisto bituminoso, una roccia sedimentaria da cui possono essere prodotti idrocarburi liquidi. L’industria dello scisto, oggi, si concentra interamente a Ida Viruma dove viene emesso il 50 per cento della CO2 prodotta in tutto il paese, il secondo in Europa per la quantità di emissioni di anidride carbonica pro capite. L’impatto ambientale è pesante: contaminazione del terreno, consumo di acqua, deforestazione e infiltrazioni tossiche nelle falde acquifere con conseguenti gravi danni per la salute delle persone e degli animali. La capitale Tallinn a settembre 2021 è stata nominata “Capitale Europea Verde 2023” e si trova solo a 100 chilometri dalla regione di Ida-Viruma.
Fino al 2019, la polvere di scisto era classificata tra le scorie pericolose, ma la sua lobby – considerandola “diffamatoria” – è riuscita a eliminare l’etichetta. Non solo, con una originale concezione di economia circolare, sono riusciti a trasformare una regione sconosciuta in una meta di insolito turismo, il turismo industriale. Le montagne di pet coke ospitano attività per chi visita Ida Viruma: su una collina di 90 metri è stato costruito un parco avventura, con il suo self-service, l’“Hill Cafè”. Ai piedi, un grazioso ostello offre bungalow ai turisti, mentre su un’altra collina sorge un centro sciistico. Viene poi pubblicizzata l’attrazione delle lagune azzurre: invasi cristallini che contengono l’acqua della lavorazione dello scisto, pericolosamente alcalina. «Concordo sul fatto che questi laghi siano meravigliosi, ma nessuno deve azzardarsi a immergervi nemmeno un dito, perché rischierebbe l’ustione», spiega il portavoce del Movimento verde estone, Madis Vasser. Ma nei dintorni non c’è traccia di cartelli che avvertono del pericolo e i turisti si affollano sulle rive delle lagune per scattare selfies.
Intorno alle attrazioni turistiche e ai complessi industriali, sorgono piccole cittadine nate per ospitare le famiglie di chi lavorava o ancora lavora in queste fabbriche. Edifici enormi, in cui molte case sono vuote, in un’atmosfera di nostalgia e desolazione. L’estrazione, e la lavorazione, dello scisto per gran parte della popolazione della regione ha creato occasioni di lavoro, ma l’esposizione ad agenti chimici ha gravi conseguenze sulla salute degli operai.