Ibaba
WJ #107Nel marzo 2015, quando sono partita per il Rwanda per la prima volta, non conoscevo né questo né nessun altro paese dell’Africa. Dovevo realizzare un reportage fotografico su un laboratorio di ricamo riaperto nel 2012, chiuso a causa del genocidio nel 1994.
Una volta finito il reportage sul lavoro delle donne ricamatrici, non riuscivo più a lasciarle. L’incontro è stato come un amore a prima vista. La voglia di svelarle mi è parsa una necessità, una testimonianza essenziale. Così ho iniziato a fotografarle una ad una.
Chi sono queste donne? Conosco molto poco di loro, delle loro storie personali, della loro origine. Conosco solo la storia che le accomuna, quella del Rwanda.
Le ho incontrate a Rutongo, un piccolo villaggio tra le colline a nord di Kigali, nel laboratorio di ricamo dove lavorano. La mia serie “Ibaba” è nata lì, da un incontro intimo e silenzioso.
Negli anni 70 la comunità belga delle suore della Visitazione creò un laboratorio di ricamo per aiutare le giovani ragazze del villaggio. Le ragazze venivano formate e poi veniva offerto loro un lavoro come tessitrici, uno stipendio per le loro famiglie. Un’iniziativa importante per rafforzare, da un punto di vista socioeconomico, l’indipendenza delle lavoratrici.
Il genocidio contro i Tutsi del 1994 costrinse le suore a tornare in Belgio, lasciando il laboratorio e decretandone la chiusura.
Nel 2011 due sorelle francesi, Veronique e Pascale, vennero a conoscenza della storia del laboratorio e scoprirono che molte tessitrici vivevano ancora nel villaggio. Toccate dalle loro storie e stupite dalla loro voglia di fare, decisero di unire le energie per aiutarle a realizzare il sogno: riaprire il laboratorio.
Nel 2012, 22 donne entrarono a far parte della nuova cooperativa, CORUM. Tutti i prodotti sono parte del brand IBABA Rwanda, “ali Rwnada”, a simboleggiare il volo ripreso dopo la lunga chiusura.
Como fotografa sono stata toccata da questi incontri per quello che hanno accettato di lasciar intravedere, a me, straniera. Non parlo la loro lingua, né loro la mia. Io e loro, ci osserviamo.