Honhat – Il Nome della Terra

WJ #111

“Nel Chaco si entra, dal Chaco si esce. Il Chaco attrae e spaventa, accoglie e disorienta; è odore di terra e sangue, alcol e foglie di coca, latte materno e sudore. È desiderio di acqua e giustizia”.

Nel Chaco si entra, dal Chaco si esce. Lo ripete spesso chi abita le sponde del fiume Pilcomayo, che divide l’Argentina dal Paraguay, proprio come se dove finisce la terra asfaltata e comincia la foresta, un mondo lasciasse posto ad un altro: La Terra, oppure come la chiamano gli Wichì, Honhat, il loro bene più prezioso e allo stesso tempo così fragile e precario. Così scrive Chiara Scardozzi, antropologa culturale, che ha vissuto nella regione del Gran Chaco dal 2009 al 2016 svolgendo lavoro di ricerca etnografica, entrando così in contatto profondo con queste popolazioni.

“L’acqua scarseggia, le temperature in alcuni periodi arrivano a toccare anche i 50 gradi, e i gruppi in questa zona hanno adattato le loro forme di vita a queste condizioni, relazionandosi con quella che noi definiamo “natura” in modi complessi, a noi sconosciuti”, spiega Scardozzi. Forse però l’esperienza degli Wichì oggi è più che mai attuale, in un periodo in cui l’ambiente sta cambiando profondamente, quasi come fosse una forma di ribellione nei confronti di un progresso tecnologico e industriale sfrenato adottato dai Paesi occidentali, che ora si trovano a fare i conti con le conseguenze del cambiamento climatico e della Terra in mutamento. Partendo dalle popolazioni indigene e dai campesinos che abitano la regione, che hanno alle spalle decenni di lotte politiche per l’ottenimento dei titoli di proprietà delle loro terre, è necessario capire che “adattamento significa anche considerazione e conoscenza di tutto ciò che pensiamo sia slegato dall’ambito umano, che in Occidente, per costume e tradizione tendiamo a separare- dice Scardozzi- mentre invece per le società indigene la natura è qualcosa di integrato alla vita quotidiana e un complesso sistema di norme collettive (non scritte) stabiliscono l’uso e l’accesso alle risorse naturali”. In ogni caso, nemmeno in quelle zone più profonde dell’Argentina tutto è chiaro. “Il Chaco attrae e spaventa, accoglie e disorienta; è odore di terra e sangue, alcol e foglie di coca, latte materno e sudore. E’ desiderio di acqua e giustizia”. Lì, ad esempio, il problema dell’estrattivismo è tanto sentito quanto abusato, poiché l’impatto del mondo ‘non indigeno’ su quello indigeno ha una violenza forte, ormai nota. Nulla di nuovo però, anche nella regione del Gran Chaco si tratta del famoso “effetto Farfalla”, dove quello che tocchi da una parte poi, per effetto domino avrà ripercussioni sull’equilibrio di un altro luogo. Magari lontano, magari il nostro. E gli eventi di questi ultimi anni ne sono una prova.

Il reportage

Scheda autore

Chiara Scardozzi

Bozza automatica 354

Chiara Scardozzi è dottoressa di ricerca in discipline Etno-Antropologiche all’Università di Roma “La Sapienza” e docente a contratto presso vari atenei italiani. Dal 2009 lavora tra l’Italia e l’America Latina dove sviluppa la sua attività di ricerca, inerente principalmente i processi di convivenza e le rivendicazioni territoriali di indigeni e creoli. Nel 2014 riceve il “Premio Francesca Cappelletto” (SIAA e Università degli Studi di Verona) per la migliore tesi magistrale nell’ambito dell’antropologia applicata allo spazio pubblico. In ambito fotografico, prende parte a diversi festival e i suoi lavori vengono pubblicati su Visual Ethnography (2015) e National Geographic Italia (2016). In qualità di photo editor cura il sito della Società Italiana di Antropologia Applicata, della quale è membro.

English version

HONHAT – The Name of Heart

Photography by Chiara Scardozzi

Story edited by Sara Forni e Chiara Scardozzi

“In the Chaco you enter, from Chaco you leave”The Chaco attracts and frightens, welcomes and disorients; it is the smell of earth and blood, alcohol and coca leaves, breast milk and sweat. It is desire for water and justice”.

In the Chaco you enter, from the Chaco you leave. This is often repeated by those who live on the banks of the Pilcomayo river, which divides Argentina from Paraguay, just as if, where the paved land ends and the forest begins, one world gives way to another: The Earth, or as the Wichì call it, Honhat, their most precious and at the same time so fragile and precarious thing. This is what Chiara Scardozzi writes, cultural anthropologist, who lived in the Gran Chaco region from 2009 to 2016 carrying out ethnographic research, thus coming into deep contact with these populations.

“Water is scarce, temperatures in some periods reach even 50 degrees, and human groups in this area have adapted their life forms to these conditions, relating to what we call “nature” in complex ways, unknown to us” Scardozzi explains. Perhaps, however, the Wichì experience today is more relevant than ever, at a time when the environment is changing profoundly, almost as if it were a form of rebellion against unbridled technological and industrial progress adopted by Western countries, which are now facing the consequences of climate change and the changing of the Earth. Starting from the indigenous peoples and campesinos living in the region, who have decades of political struggles to obtain title to their land, it is necessary to understand that “adaptation also means consideration and knowledge of everything we think is unrelated to the human sphere, which in the West, by custom and tradition we tend to separate – says Scardozzi – while for indigenous societies nature is something integrated into everyday life and a complex system of collective (unwritten) rules establish the use and access to natural resources. In any case, not even in those deeper areas of Argentina everything is clear”. Chaco attracts and frightens, welcomes and disorients; it is the smell of earth and blood, alcohol and coca leaves, breast milk and sweat. It is desire for water and justice. There, for example, the problem of extractivism is as heartfelt as it is abused, because the impact of the ‘non-indigenous’ world on the indigenous world has a strong violence, now known. Nothing new, however, also in the region of the Gran Chaco it’s about the famous ‘butterfly effect’, where what you touch on one side then, by domino effect, will have repercussions on the balance of another place. Maybe far away, maybe ours. And the events of recent years are a proof of this.