Firmino
Firmino aveva 14 anni quando, utilizzando una fresatrice, vi è rimasto incastrato e ha perso un braccio. Ora ha 74 anni e ha alle spalle un’intera vita vissuta senza una parte del suo corpo. In questi 60 anni ha dovuto lavorare, guidare, giocare a calcio, andare a pesca, adattandosi alla sua condizione.
Foto n°1
«Il lunedì vado al lavoro. É un giorno nero perché quasi sempre gli infortuni succedono dl lunedì o nel fine settimana. Succede che accendo la macchina come tutti i giorni e mi butta addosso l’olio. Non puoi fermare la macchina perché se no devi farla ripartire perché è programmata, quindi non fermi. Con in mano uno straccio mi appoggio lì per fare sì che non mi schizzi l’olio addosso e la macchina mi prende la mano, il braccio e me lo strappa. Mancava una protezione e non so spiegare il perché: mi facevano lavorare e io mi sono messo a lavorare»
Foto n°2
«Io ho fatto una vita a dimostrare agli altri di essere quello che gli altri pensano che io non sia. Andare a pescare, preparare la montatura, i galleggianti, fare tutto… non era per dimostrare che son bravo, era per dimostrare agli altri che sono normale. É una lotta per dire agli altri che non sono diverso. Perché in fondo sei giudicato in modo diverso. Mia moglie Bruna mi ha sposato lo stesso, sapendo che si sarebbe dovuta sobbarcare lavoro in più, anche se io mi arrangio da solo il più possibile. Ci sono cose in cui però lei mi deve aiutare. Sposandomi ha fatto una cosa grande per me».
Foto n°3
«Quando sono uscito dall’ospedale, dove ho fatto 20 giorni, mi sono rinchiuso in casa perché ho trovato questo ostacolo: la vergogna, ti vedevano in un modo diverso… me ne sono accorto alle giostre. Sai, tu vai con i due o tre amici che hai alle giostre e lì ti accorgi che ti guardano, qualcuno ti scansa e…ti senti a disagio, quello stesso disagio che provo ancora oggi…beh quello non cambierà mai. Cosa succede? Succede che mi chiudo in casa ed esco il meno possibile. Sono sposato con Bruna da 51 anni e quando ci siamo conosciuti io ero già così»
Gianluca
Gianluca, nel tentativo di domare un incendio in fabbrica, viene centrato in pieno da un arco voltaico, vale a dire una scarica elettrica accompagnata da un’intensa emissione luminosa. L’arco voltaico che colpisce Gianluca ha la potenza di 320 volt. Per permettergli di camminare gli è stato impiantato un cavo d’acciaio elettrostimolato che avvolge i nervi della sua colonna vertebrale.
Foto n° 1
«Torno a lavorare dopo sei mesi dall’incidente, ma è un calvario, non riesco più a fare tantissime cose. A guidare faccio sempre più fatica, mi accorgo che mentre sto guidando cerco di schiacciare la frizione e non riesco. Al lavoro cado più di una volta, ma non voglio farmi vedere. Alla fine devo rinunciare e con l’azienda decidiamo che lavorerò da casa. Mi mancano tanto i colleghi, lo stare in mezzo a loro, scambiare quattro parole, ridere e scherzare nella pausa»
Foto n°2
«Purtroppo dal giorno dell’incidente prendo la pastiglia per la pressione perché è schizzata. Quindi sono obbligato, prendo sempre delle pastiglie apposta per i problemi alla testa perché devo tenerla sott’occhio. Quindi diciamo che dal giorno dell’incidente sono diventato pastiglia-dipendente. E proprio perchè ormai sono assuefatto alle pastiglie, gli antidolorifici ormai non mi fanno più effetto, ma niente. C’è solo un antidolorifico che mi porta in un altro mondo: la codeina. È l’unica cosa che può fare effetto»
Foto n°3
«In ambulanza ho detto all’infermiera: “Non sento più la parte sinistra del corpo”, vedo che guarda i parametri e parla con la dottoressa. “Non sento più nemmeno la parte destra” e dopo smetto di respirare. Mi ricordo dei gran colpi sul torace, delle sberle in faccia e il momento in cui apro gli occhi sento la dottoressa che dice a quello dell’ambulanza: “ Corri corri codice rosso!”»
Gianni
Gianni ha perso il braccio a causa di una taglierina lineare per lamine in acciaio, quando aveva 34 anni. In seguito a questo incidente non ha più lavorato ma con tenacia, energia e annullando il dolore per quello che gli è accaduto, ha trovato riscatto nello sport e nella cura del proprio corpo.
Foto n° 01
«Quella macchina era vecchia e non si trovavano più i pezzi di ricambio, in particolare della centralina elettrica, che spesso dava problemi. Un giorno sono salito in ufficio e ho detto che su quella macchina non ci avrei più lavorato perchè sentivo che era pericolosa. La risposta è stata: “ Quella è la porta!”. Così ho deciso che mi sarei trovato un altro posto di lavoro. Qualche settimana dopo è successo l’incidente. Ho ancora impresso nella mente tutto quanto. Quella mattina la centralina faceva le bizze, la macchina andava come voleva e a un certo punto, mentre toglievo la lamina tagliata, la macchina ha ripreso ad andare veloce in avanti e mi ha trascinato dentro il braccio in un secondo. Fortunatamente con l’altro braccio sono riuscito a trattenermi, aggrappandomi a una parte della macchina per non farmi trascinare oltre. Quando, con l’aiuto di qualche collega, è stata tolta la tensione e sono riuscito ad estrarre il braccio ho capito subito che era perso, era tutto tagliuzzato come fosse una battuta di manzo al coltello ed era attaccato solo da lembi di pelle»
Foto n°2
«Ci ho messo un anno ad imparare a fare tutto usando la mano sinistra. Ho iniziato a riempire le giornate allenandomi in bicicletta e in palestra perché volevo tornare a correre, come ho sempre fatto. Mi sono ingegnato per costruire anelli, ganci e corde che mi permettessero di utilizzare tutti gli attrezzi della palestra»
Foto n°3
«Io non volevo partecipare a maratone per disabili fisici. Io volevo continuare a correre come prima. Questo ha richiesto tantissimo allenamento perché senza un braccio non avevo più la postura e l’equilibrio di prima. Con l’allenamento sono riuscito a recuperare il bilanciamento e riempire la zona dove il muscolo non c’è più. Mi sono messo a correre sotto il sole e guardando la mia ombra mi sforzavo di correggere la postura. Oggi sono soddisfatto e partecipo a molte maratone ottenendo risultati molto buoni»
Naser
Naser viene in Italia dalla Serbia come rifugiato in fuga dalla guerra dei Balcani. Lavora regolarmente come carpentiere fino a che, nel 2004, un infortunio sul lavoro cambia la sua vita. Nel 2012 gli è stata finalmente riconosciuta una pensione di invalidità: 253 euro al mese.
Foto n°1
«Dopo l’incidente non riuscivo più a trovare lavoro come muratore. Quando scoprivano che mi mancava un dito non mi volevano. Non mi ha mai più richiamato nessuno. Poi ho lavorato in nero perché devi vivere. Per otto anni ho lavorato a Viggiù, in una villa…facevo manutenzione, giardino, tagliavo erba… mi hanno detto: “Se vuoi lavorare va bene, però in nero”»
Foto n°2
«Il giorno in cui è successo era un sabato mattina. Ero carpentiere, facevo la soletta al primo piano di un edificio del Comune. Erano le 12.15. Il capocantiere mi ha urlato per andare a mangiare, mi sono distratto e non so come mi ha preso la fresa circolare. Mi ha tagliato i tendini, tre dita. Me le hanno ricucite. Per l’infezione ho fatto undici interventi, quattro o cinque con anestesia totale, ma alla fine hanno dovuto togliere il mignolo»
Foto n°3
«Oggi che è un giorno freddo ho dolore alla mano; se esco fuori diventa scura per colpa della circolazione. Anche d’estate ho problemi. Se fanno 35 gradi, ho dolore. Poi mi manca la sensibilità alle mani e le dita non si piegano più bene»
Roberto
Roberto ha scoperto durante un controllo di soffrire di asbestosi, una malattia polmonare cronica dovuta all’inalazione per un lungo periodo di fibre di amianto. Roberto è andato in pensione nel 2000 grazie alla legge sull’amianto per cui gli è stata riconosciuta la malattia professionale. Ora Roberto non c’è più. I medici dicono che la causa più probabile del decesso sia stato il tumore che aveva da qualche tempo e che era indipendente dalle placche pleuriche dovute all’amianto.
Foto n°1
«Ho lavorato in Centrale per 30 anni e lì c’era l’amianto. Quando hanno fatto le lastre a tutti, il problema è saltato fuori anche al mio caposezione. Ci sono stati dei morti. Uno aveva 53 anni, un altro, anche lui 53 anni, mio cugino ne aveva 66 anni, non respirava, non respirava… e tutti per questa roba qui. É una malattia che ci mette vent’anni… magari uno la prende a 30 e viene fuori a 55. Puoi fare tre controlli e niente… e poi arriva, può saltar fuori da un momento all’altro»
Foto n°2
«Faccio controlli alla Maugeri ogni 2 anni. All’ultimo controllo mi hanno detto che si è rimpicciolito un po’ il polmone. Adesso, dopo 20 anni, ho cominciato a mettere l’ossigeno, fare ossigenoterapia con il bombolone. L’ossigeno lo uso da settembre, a sera 3 o 4 ore, e quando vado in giro porto con me una bomboletta nello zainetto perchè se cammino un po’ il fiato mi va giù di brutto»
Foto n°3
«Ciao Roberto come stai? Volevo proporti un’ultima foto davanti all’azienda dove lavoravi con lo zainetto che porti in spalla quando esci, che ne pensi?», chiede Davide. «Si certo, allora ci vediamo la settimana prossima!». All’ultimo appuntamento Roberto purtroppo non si è presentato. Non ce l’ha fatta.