Gubbio, I Ceri

WJ #99

“A chi viene alla Corsa dei Ceri  e cerca di capirne il senso suggerisco di guardare bene gli occhi dei ceraioli della muta e gli sguardi che si scambiano poco prima di prendere il cero. Troveranno sentimenti e passioni ancestrali. Troveranno il mito”.  Giuseppe Cardoni

Gubbio è fortunata e ben protetta, dispone di tre Santi, Ubaldo, Antonio e Giorgio. Sono Santi che riscuotono grande popolarità e devozione in tutta la comunità cristiana. Gubbio li onora e festeggia assieme, ponendoli in singolare gara.

Vi ho assistito solo attraverso lo schermo televisivo, e ne ho avuto una lettura straniante. “La Corsa dei Ceri” mi era sembrata ben poco sorella della festa mediterranea delle luminare, dei colori, dei festoni, degli scomposti suoni e gesti, tra folclore, superstizione e devozione. Mi appariva piuttosto come rappresentazione di culture sconosciute, con quei totem lignei dalla sagoma severa e inconsueta, possibili tracce di continenti lontani nel tempo e nello spazio. Il calore della connotazione cattolica mi appariva nebbioso.

Le magistrali immagini fotografiche di Loretoni e Cardoni mi hanno messo in risalto il nucleo essenziale, il cuore del singolare rito. I Santi, Ubaldo, Antonio e Giorgio rappresentano ciascuno una fetta della città, ciascuno di loro riscuote il tributo della propria tifoseria per concorrere in una gara dove non c’è competizione, dove l’ordine di partenza e di arrivo è da sempre già deciso e segnato, dove non è previsto sorpasso o spariglio. Il rito, da queste immagini, appare consumarsi in una esplosione incontenibile di fede e di corale partecipazione civile.

In sequenza, senza indugiare sui rituali di preparazione, le immagini puntano sui volti segnati dalla commozione, che gridano, ridono di incontenibile gioia, piangono. Scatti che mettono a fuoco il fascio di mani alzate all’unisono, invocanti, e le braccia che sorreggono, i corpi piegati, contorti sotto il peso dei sacri simulacri, in una corsa estenuante, in una veemenza che sembra ricordare le corse furiose dei guerreschi arieti medioevali. Singoli fotogrammi che divengono personaggi e dove l’accentuato, intelligente contrasto trasforma quei volti, quelle mani e quelle braccia in lame di luce, in segni di fede e di passione.

Lo strumento linguistico impiegato dai due fotografi appare di rara sapienza, invidiabile modernità. Una sequenza incalzante che ha la forza di tradurre la festa dei “Ceri” in una epopea. Come è giusto che sia, in ogni maggio propiziatorio, per ogni fortunato abitante questa inimitabile città.

Il reportage

Scheda autore

Giuseppe Cardoni e Luigi Loretoni

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Giuseppe Cardoni

Vive in Umbria, ingegnere, fotografa dagli anni 70, predilige il reportage in B/N. E’ coautore, col giornalista RAI, Luca Cardinalini, del libro fotografico “STTL La terra di sia lieve” (Ed. DeriveApprodi,Roma, 2006); insieme al fotografo Luigi Loretoni nel 2008 ha pubblicato il fotolibro “Miserere” (Ed. L’Arte Grafica), nel 2011 “Gubbio, I Ceri” (Ed. L’Arte Grafica) e nel 2014 “Kovilj” (Ed. L’Arte Grafica); è coautore del libro “I colori del Jazz”(Federico Motta Editore, 2010). Ha fatto parte del Gruppo Fotografico Leica. Nel 2014 ha pubblicato il libro fotografico “Boxing Notes” (Edizionibam). Ha esposto i propri lavori in molteplici mostre sia personali che collettive. Premiato o finalista in numerosi contest nazionali e internazionali.

Luigi Loretoni

Nato a Narni, nel 1934, dove risiede, inizia a fotografare negli anni 50. Fin dall’inizio si dedica al bianco e nero privilegiando il racconto per immagini e curando personalmente anche la stampa. Nel 1985 è entrato a far parte del Gruppo Fotografico Leica con il quale ha concluso importanti esperienze. Da alcuni anni si dedica con particolare interesse alle manifestazioni musicali che si svolgono in Umbria, contribuendo con le proprie immagini alle mostre che ogni anno si tengono a Perugia in occasione di “Umbria Jazz”. Lo stesso interesse riserva ai temi sociali del proprio territorio, argomento che gli ha permesso di concludere significative esperienze editoriali.

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Fotocamera:

English version

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Gubbio, I Ceri

 

by Giuseppe Cardoni and Luigi Lorentoni 

Story by Piergiorgio Branzi

 

Every city and town, in Italy, has its own saint. And vice versa

 

Gubbio is fortunate and well-protected, with three saints watching over it: Ubaldo, Anthony and George. They are saints of great popularity and devotion from the entire Christian community. Gubbio honors and celebrates them together, putting them together in a single contest.

 

I had seen it only on the TV screen, and it had left me feeling strange. “The Race of the Ceri” didn’t seem to me much like a Mediterranean celebration of the luminaries, the colors, the festoons, the disordered sounds and gestures, among the folklore, superstitions and reverence. It appeared to me rather like a representation of unknown cultures, with those wooden totems of severe and unusual profile, possibly traces of continents far off in time and space. The warmth of the Catholic connotation seemed obscure. The masterly photographic images of Loretoni and Cardoni place prominence on the essence, the heart of this singular rite.

 

The saints, Ubaldo, Anthony and George, each represent a slice of the city, each collecting the tribute of its own fan base to compete in a race which is not a competition, with the order of departure and arrival always already decided and defined, where passing and position changes are not foreseen. The rite, from these images, seems consumed in an uncontainable explosion of faith and completely inclusive civic participation.

 

In sequence, without dawdling over the preparatory rituals, the images find faces marked by emotion, that cry out, that laugh with overwhelming joy, that weep. Frames that focus on a sheaf of hands raised in unison, entreating, and the arms that support, the bodies bent, contorted under the weight of the sacred simulacrum, in an exhausting race, in a vehemence that seems to recall the furious courses of Medieval battering rams.

 

Individual shots that become characters, and where emphasized, thoughtful contrast of the prints transform those faces, hands and arms into blades of light, signs of faith and passion, we can say.

 

Religious festivals make up one of those topical moments that train those who rely on images to communicate, always and everywhere. The linguistic instrument used by our two photographers seems, furthermore, of rare wisdom, enviable modernity.

 

A compelling sequence of images has the power to translate the Festival of the Ceri into an epic. As it should be, in every propitiatory May, for every fortunate inhabitant of this inimitable city.[:][:][:][:][:][:][:]