Gli alienati al tempo del Coronavirus

WJ #117

Roma, 27 aprile 2020. Siamo nel Servizio psichiatrico di diagnosi e cura (Spdc) dell’ospedale San Filippo Neri. In un periodo in cui l’emergenza sanitaria da Covid-19 stravolge la nostra quotidianità, costringendoci a sperimentare l’isolamento “forzato”, la nostra condizione si avvicina alla “normalità” di tutti i giorni vissuta dai pazienti del Spdc. Disorientati dalla loro malattia, gli “alienati”, così come vennero chiamati da Théodore Géricault nei suoi ritratti di inizio Ottocento, faticano ad accettare le nuove misure di sicurezza; il distanziamento sociale, l’igiene e le mascherine sono provvedimenti inconciliabili con le loro patologie.

In questo periodo, i ricoveri di persone in stato di agitazione, provenienti da ambienti non protetti, con comportamenti ad alta reattività emotiva, comportano rischi non soltanto per la salute degli infermieri, ma anche per l’intero reparto. Tamponi e costanti controlli sono la regolarità per scongiurare la comparsa di eventuali contagi. D’altra parte, il rischio di contrarre il virus non è l’unica problematica che i degenti del servizio psichiatrico devono affrontare: nei suoi studi la psicologa Julianne Holt-Lunstad, della Brigham Young University, associa ad un drastico peggioramento della salute, fisica e mentale, la concomitanza di uno stato di solitudine (sensazione soggettiva di essere disconnessi dalla società, di non avere affetti vicini) e di un isolamento sociale (condizione oggettiva di distanziamento).

I pazienti del Spdc vivono effettivamente la loro quotidianità nell’emarginazione e la quarantena ha avuto così sulle loro vulnerabilità maggiori ripercussioni. Trovando conforto solo nel rapporto con i familiari e gli altri degenti o navigando sui social network, gli operatori sanitari in questa fase hanno così svolto un ruolo decisivo nella sopravvivenza dei soggetti affetti da disturbi psichici.

Tuttavia, non sono presenti solo le limitazioni sopra elencate ad aggravare la qualità di vita di queste persone. Anche gli effetti collaterali degli psicofarmaci influenzano drasticamente la loro capacità di adattamento. Lasciati nel silenzio, ulteriormente isolati, (tra l’altro argomento “borderline” ancora oggi), gli “alienati” trascorrono le giornate non solo combattendo contro un nemico invisibile, ma anche contro l’indifferenza di chi dovrebbe tutelarli.

Il reportage

Scheda autore

Flavia Piola

Gli alienati al tempo del Coronavirus 11

Flavia Piola, nata nel 1993, ha iniziato il suo percorso di studi iscrivendosi alla Facoltà di Farmacia La Sapienza di Roma. Grande amante dei viaggi e della fotografia, viene ammessa nel 2016 all’Istituto Superiore di Fotografia di San Lorenzo, a Roma. Diplomatasi nel 2019, nel 2020 inizia un Master in Fotografia Documentaria presso l’Icp di New York City. Ha lavorato con un importante artista italiano, di nome Alessandro Valeri, per il quale ha organizzato mostre in molte gallerie e musei d’Italia, come il MAXXI ed il Macro di Roma. Nello stesso periodo, ha collaborato con Agf come fotogiornalista di cronaca e di politica. Attiva nel volontariato, ha prodotto video per l’Associazione Officium, Lega Italiana Fibrosi Cistica, e svolto diverse attività per il Centro Recupero Fauna Selvatica Lipu a Roma. Dal 2020 ha iniziato a realizzare progetti personali incentrati su problematiche sociali.

Fotocamera: Sony Alpha 7 R II
Obiettivo: 35 mm

English version

Gli alienati al tempo del Coronavirus

by Flavia Piola

Rome, April 27, 2020. We are in the Psychiatric diagnosis and treatment service (Spdc) of the San Filippo Neri hospital. In a period in which the health emergency from Covid-19 upsets our daily lives, forcing us to experience “forced” isolation, our condition is approaching the everyday “normality” experienced by SPDC patients. Disoriented by their illness, the “Alienates”, as they were called by Théodore Géricault in his early 19th century portraits, struggle to accept the new security measures; social distancing, hygiene and masks are measures that are irreconcilable with their pathologies. In this period, the admissions of people in a state of agitation, coming from unprotected environments, with highly emotionally responsive behaviors, involve risks not only for the health of the nurses, but also for the entire department.

Swabs and constant checks are the regularity to prevent the appearance of any infections. On the other hand, the risk of contracting the virus is not the only problem that psychiatric patients have to face: in her studies, psychologist Julianne Holt-Lunstad, of Brigham Young University, associates a drastic deterioration in health, physical and mental, the concomitance of a state of loneliness (subjective feeling of being disconnected from society, of not having close affections) and social isolation (objective condition of distancing).

Spdc patients effectively live their daily lives in marginalization and quarantine has thus had major repercussions on their vulnerabilities. Finding comfort only in the relationship with family members and other patients or by browsing social networks, health workers in this phase have thus played a decisive role in the survival of subjects suffering from mental disorders.

However, it is not only the limitations listed above that aggravate the quality of life of these people. The side effects of psychiatric drugs also drastically affect their ability to adapt. Left in silence, further isolated, (among other things “borderline” still today), the “Alienated” spend their days not only fighting against an invisible enemy, but also against the indifference of those who should protect them.