Ferite

WJ #103

Spazio vitale insufficiente, abitazioni non sicure, mancanza di servizi igienici, accesso all’acqua insufficiente, sono solo alcune delle caratteristiche con cui viene definito uno slum e che suggeriscono cosa deve affrontare chi vi abita.

Capitale del Kenya, abitata da più di quattro millioni di persone, Nairobi è une delle 10 città più grandi del continente africano. Oltre la metà della sua popolazione vive nei circa 200 slum di cui è costellata.

Terra e fango, baracche di legno e cartone con tetti di lamiera roventi al sole, queste metropoli nella metropoli non sorgono solo nelle periferie, ma sempre più spesso al fianco di aree ricche e curate, incastonandosi tra i palazzi delle ambasciate in stile vittoriano e le enormi discariche a cielo aperto. Ferite, in una delle megalopoli africane più importanti dal punto di vista politico, culturale ed economico, dove il divario tra ricchi e poveri cresce ogni giorno di più.

L’aria malsana porta alle narici l’odore pungente delle latrine mescolato a quello di animali, cibi putrefatti e spazzatura. Racconta della scarsa igiene, all’origine della diffusione esponeneziale di malattie come la tubercolosi. L’aspettativa di vita in questi agglomerati urbani si aggira ormai intorno ai 47 anni; i pochi anziani che vi si trovano ancora sono ai margini, si sentono esclusi, affermano che prima era diverso e che la situazione è precipitata “con l’arrivo della modernità”.

HIV e AIDS sono piaghe che mietono la gran parte delle vite delle baraccopoli, dove il tasso di sieropositività supera il 50 per cento. Le donne, spesso costrette a prostituirsi, e i bambini, figli di genitori sieropositivi, ne sono le principali vittime.

La violenza domestica, anche sessuale, è all’ordine del giorno, conseguenza dell’alcolismo dilagante principalmente tra gli uomini. In un tale contesto sociale, le donne sono il fulcro di questi inferni africani, loro che si occupano dell’educazione e del sostentamento dei figli, laddove possibile.

Oltre agli orfani che nella più parte dei casi restano senza una casa, succede che tanti bambini decidano di lasciare la famiglia prematuramente, non tanto per ribellione quanto per esasperazione. Ritrovandosi a vivere per la strada, sopravvivono d’espedienti o di qualche lavoretto occasionale e usano inalanti e colle per sopprimere la fame e farsi coraggio nella giungla della capitale keniota.

Gli organi governativi sono in larga parte i responsabili di questa situazone al limite, ma di fronte a questo quadro straniante ci si chiede il perchè dell’esistenza di questi insediamenti informali: qual’è la loro origine e soprattutto cosa ne causa la continua espansione? Secondo una ricerca svolta nel 2003 da UN-HABITAT (il programma delle Nazioni Unite per gli insediamenti umani), l’origine della formazione degli slum è attribuita alla rapida migrazione dagli ambienti rurali verso le città, ma sono in particolar modo le nuove forme di capitalismo, la globalizzazione e la crisi che hanno imposto la fuga dalle aree rurali, costringendo una moltitudine di persone ad ammassarsi nelle baraccopoli nel semplice intento di sopravvivere. Secondo le previsioni dell’ ONU, nel 2030 un quarto della popolazione mondiale vivrà negli slum. E’ evidente che intervenire risulta assolutamente necessario, pur sapendo che le tante ONG che già cercano di sostenere la popolazioni delle baraccopoli si trovano di fronta a una missione molto complessa. La sola direzione possibile è nel rafforzare le persone che vivono in questi luoghi. Al di là di violenza e sopraffazione, questo mondo di ingiustizia e povertà estrema è fatto da uomini e donne che cercano un’opportunità. Consapevolezza, educazione, capacità di organizzarsi e farsi ascoltare da chi governa sono forse i soli strumenti che possono portare l’inizio di un vero cambiamento.

Il reportage

Scheda autore

Gianluca Uda

Gianluca Uda nasce a Roma nel 1982, scopre la fotografia da bambino con l’aiuto del padre, all’inizio sarà la pellicola ad appassionarlo e subito dopo il digitale.

Per molti anni lavora con associazioni umanitarie, occupandosi di diritti umani e progetti di sviluppo. Vivrà in diversi paesi, tra cui il Bangladesh, il Kenya, l’Ecuador e lo Sri Lanka. Attualmente vive in Brasile dove collabora con un’associazione umanitaria che si occupa delle favelas di Rio de Janeiro.

Per Gianluca la fotografia è un mezzo di denuncia sociale, che unisce all’impiego sociale attivo.

Fotocamera: Canon 5D Mark II
Obiettivo: Canon 24-105mm f4; Canon 17-40mm f4

English version

Wounds

Photography by Gianluca Uda

Story edited by Laura Pezzenati

 

Insufficient living space, unsafe housing, lack of toilets, insufficient access to water, these are just some of the characteristics with which a slum is defined and which suggest what the people living in it should face.

 

Capital of Kenya, inhabited by more than four million people, Nairobi is one of the 10 largest cities on the African continent. Over half of its population lives in the slums.

Earth and mud, wooden and cardboard shacks with sheet metal roofs burning in the sun, these metropolises in the metropolis rise often at the side of rich areas, set between the Victorian-style embassy buildings and the huge open dumps. Wounds, in one of the most important African megalopolis, where the gap between rich and poor grows every day more.

The unhealthy air brings smell of the latrines mixed with that of animals, rotten food and trash. It tells about the lack of hygiene, at the origin of the exponential spread of diseases such as tuberculosis. Life expectancy in these urban areas is now around 47 years old.

HIV and AIDS are plagues that reap the great majority of slum lives, where the seropositivity rate exceeds 50 percent. Women, often forced into prostitution, and children, often with HIV-positive parents, are its main victims.

Domestic violence, even sexual violence, is a daily problem, a consequence of alcoholism that mainly affects men. In such a social context, women are at the heart of these African hells, taking care of the education and support of children, where possible.

In addition to the orphans who in most cases remain without a home, it happens that many children decide to leave the family prematurely, not so much for rebellion as for exasperation. Finding themselves living on the streets, they survive by expedients or occasional chores and use inhalants and glues to suppress hunger and take courage in the jungle of the Kenyan capital.

 

The governing bodies are largely responsible for this situation, but in the face of this alienating picture we are asking why the existence of these informal settlements: what is their origin and, above all, what causes its continuous expansion? According to research carried out in 2003 by UN-HABITAT (the United Nations human settlement program), the origin of slum formation is attributed to the rapid migration from rural to urban areas, but in particular the new forms of capitalism, globalization and the crisis that forced the escape from the rural areas, forcing a multitude of people to pile up in the shanty towns in the simple intent to survive. According to the UN forecasts, in 2030 a quarter of the world’s population will live in the slums. It is clear that intervening is absolutely necessary, even knowing that the many NGOs that already try to support the populations of the shantytowns find themselves facing a very complex mission. The only possible direction is to strengthen the people who live in these places. Beyond violence and oppression, this world of injustice and extreme poverty is made by men and women looking for an opportunity. Awareness, education, ability to organize and be heard by those who govern are perhaps the only tools that can lead to the beginning of real change.