Feeling at home
WJ #96La casa è, per definizione, quel luogo in cui troviamo rifugio e protezione, quel luogo che definisce la relazione tra l’intimità del nostro io e la fattualità del mondo esterno.
Secondo l’antropologo Marco Aime, “ogni spazio di abitazione risponde non solo a esigenze di tipo pratico, ma rappresenta un importante spazio che viene caricato di simboli.” Da questa angolatura, il concetto di casa si afferma come fatto sociale – nella più durkheimiana delle accezioni – e la pluralità delle sue declinazioni sottolinea come, in ogni modello abitativo, alla fisicità di una determinata architettura corrisponda un ventaglio di significazioni simbolico-culturali ulteriori.
Ad ogni latitudine, le tipologie di abitazione che rispecchiano l’immagine della società circostante sono molteplici e composite. Questa diversità rifrange la totalità dei fattori che costituiscono il tessuto socio-economico di un determinato contesto: si va dalle forme dell’abitare consuetudinario di ciascun contesto culturale, ad altre maggiormente vernacolari, fino ad arrivare ad approssimazioni direttamente rispondenti a situazioni di marginalità e ghettizzazione.
In Occidente i confini tra un abitare convenzionale ed uno più marcatamente informale o addirittura illegale sono nettamente definiti, tanto dentro quanto fuori dalla metropoli, e spesso sintomatici di criticità sociali articolate sull’asse centro-periferia.
Lontano dal cosiddetto primo mondo, le linee di demarcazione si presentano molto più sfumate: se, in alcuni casi, fenomeni di autocostruzione e spontaneismo rispondono a motivazioni culturali, sempre più spesso essi sono piuttosto frutto di una reazione ad esigenze ed emergenze di natura puramente economica o politica.
Pur tenendo ben presente l’opacità del suddetto confine, nel novero del primo caso rientrano, tra le altre, le abitazioni di villaggi tradizionali del Ghana, della Mauritania, e di molti altri contesti dell’Africa subsahariana. Nel riflesso delle soluzioni abitative rispondenti a catastrofi o ad imposizioni politico-economiche subordinative, assistiamo ad una proliferazione sempre più estensiva di baraccopoli nelle periferie delle grandi metropoli del terzo e quarto mondo, di townships in Sudafrica e Namibia, di campi profughi palestinesi in Libano, fino ad arrivare alle tendopoli post-sisma in Nepal o ad Haiti.