Es(senza)
WJ #147di Michele Abbatangelo
Testo a cura di Michele Abbatangelo e Sarah Taranto
Medium bizzarro, nuova forma di allucinazione: falsa a livello della percezione, vera a livello del tempo.
(Roland Barthes)
L’aeroporto di Taranto-Grottaglie è un aeroporto civile nato per difendere il porto di Taranto durante la Prima Guerra mondiale. Sesta pista per lunghezza sul territorio nazionale, non è adibita ai voli passeggeri e questo rende il suo sito un unicum. Con un traffico quasi nullo fino al 2007, fanalino di coda dietro i giganti di Bari e Brindisi, diviene rilevante centro di voli cargo a seguito dell’apertura di uno dei più importanti impianti produttivi di Boeing 787 della penisola, lo stabilimento Leonardo di Grottaglie.
Attraversando questo spazio si percepisce una dualità complementare tra assenza e presenza che tende a sfocare l’identità del luogo stesso. Se da un lato devono essere garantiti i servizi essenziali di un qualsiasi aeroporto seppur con un flusso molto più diluito nel tempo, dall’altro vi si celano indizi di un’essenza caotica, vissuta e ripercorsa al di là dell’immediata sensazione di vuoto. La figura umana è volutamente assente per rimarcare la mancanza di qualsiasi traccia degli eventi che si svolgono all’interno di questo microcosmo, ma viene evocata da oggetti che ne segnalano indirettamente la presenza, come una pianta nella sala d’aspetto o un gilet poggiato sulla sedia di un ufficio, spectrum di questo processo.
Ed ecco il paradosso che nasce dalla natura evocativa del linguaggio fotografico. Il referente, ossia l’oggetto fotografato, diviene simbolo di altro; un banco check-in desolato può suscitare una sensazione di caos nella mente dello spettatore e testimoniare la sua apparente antitesi in un binomio che forma l’essenza dell’oggetto. È il senso profondo rivelato in camera oscura che diviene “chiaro” attraverso una messa a fuoco più nitida che “punge” lo spettatore e che lo porta a cogliere l’anima del fotogramma, filtrato dal retaggio culturale dello sguardo. Il fotografo ha quindi voluto evocare l’assenza in un luogo di per sé caotico, come un aeroporto, per sottolineare l’esistenza di una forma di dualismo che pian piano si è tramutato in un paradosso. E cosa ha la fotografia, tra le tante sfaccettature che la caratterizzano, se non una buona dose di paradosso?
Il reportage
Scheda autore
Michele Abbatangelo
Michele Abbatangelo nasce a Taranto 65 anni fa. La passione per la fotografia è “figlia” del suo primo grande amore che è la musica. Essendo vissuto nell’epoca dei vinili si può dire che ha incominciato, involontariamente, a recepire le prime forme e le prime idee di composizione e linguaggio fotografico dalle copertine dei dischi. D’altronde il binomio musica e immagine si può dire senza ombra di dubbio che sia fisiologico. Si snoda inizialmente tra vari generi, ma è la passione di raccontare gli eventi che gradualmente lo porta a cercare di approfondire la ricerca e lo studio della fotografia di strada e di reportage. È proprio la strada che gli dà maggiore consapevolezza e stimolo di fotografare la realtà, non quella che si percepisce nella imminenza del solo vedere, ma le infinite realtà che si celano solamente in una immagine fotografata.
Fotocamera: Nikon Z50
Obiettivo: Nikkor DX 16-50 F/3,5-6,3 – Nikkor DX 50-250 F/4,5-6,3
English version
Essence
Photo by Michele Abbatangelo
Text by Michele Abbatangelo and Sarah Taranto
The Taranto-Grottaglie Airport is a civilian airport originally established to defend the port of Taranto during World War I. As the sixth longest runway in the country, it is not used for passenger flights, making its site unique. With almost no traffic until 2007, lagging behind the giants of Bari and Brindisi, it became a significant cargo hub following the opening of one of the most important Boeing 787 production facilities in Italy, the Leonardo plant in Grottaglie.
Navigating this space reveals a complementary duality between absence and presence that tends to blur the identity of the place itself. On one hand, essential airport services must be maintained, albeit with a much more diluted flow over time. On the other hand, there are hints of a chaotic essence, experienced and traced beyond the immediate sensation of emptiness. The human figure is deliberately absent to emphasize the lack of any trace of the events occurring within this microcosm, yet it is evoked by objects that indirectly signal its presence, such as a plant in the waiting room or a vest draped over a chair in an office— spectrum of this process.
And here lies the paradox born from the evocative nature of photographic language. The subject of the photograph becomes a symbol of something else; a desolate check-in counter can evoke a sense of chaos in the viewer’s mind, highlighting its apparent antithesis in a binary that forms the essence of the object. It is the profound sense revealed in the darkroom that becomes “clear” through a sharper focus that “pricks” the viewers and leads them to grasp the soul of the frame, filtered through the cultural legacy of their gaze. The photographer thus aimed to evoke absence in a place inherently chaotic, like an airport, to underscore the existence of a form of dualism that gradually transformed into a paradox. And what, if not a good dose of paradox, defines photography among its many facets?