Espinar, terra spezzata

WJ #103

Nel cuore del Perù un’intera comunità tristemente vittima della sua stessa terra.

La provincia di Espinar, nella regione peruviana di Cusco, fa parte del corridoio minerario meridionale che, giungendo fino a Challhuahuacho, si stima fornisca il 40% della produzione nazionale di rame contribuendo a far sì che il Perù ne sia il secondo produttore mondiale (insieme a zinco e argento). Da oltre trent’anni l’attività di estrazione mineraria è entrata a far parte dell’economia dell’area generando un netto peggioramento delle condizioni di vita delle popolazioni indigene, il cui sostentamento si basa principalmente su agricoltura ed allevamento.

Nel 2006 la miniera di Tintaya venne acquistata dalla multinazionale Xstrata Cooper che qualche anno dopo, nel 2013, si fuse con l’azienda svizzera Glencore dando vita ad uno dei più grandi consorzi mondiali in grado di controllare l’intera catena di produzione, trasformazione, stoccaggio e trasporto di materie prime nell’intera America Latina. La forza di una multinazionale di tale portata ha stravolto completamente gli equilibri dell’area dando forma all’enorme complesso di estrazione di Antapaccay (espansione della miniera di Tintaya dopo la sua chiusura per esaurimento) ed al sito in esplorazione di Ccoroccohuaycco, gettando le comunità bagnate dai fiumi Salado e Cañipia in uno stato di povertà totale.

Oggi circa il 40% del territorio della provincia di Espinar è concesso alle compagnie di estrazione mineraria: se da un lato queste generano un enorme giro da affari che sfugge al controllo dello stato peruviano, contemporaneamente la provincia viene considerata tra le cinque aree più indigenti dell’intera nazione. Il 64% della popolazione vive sotto la soglia di povertà ed il 51% degli abitanti è privo di accesso a fonti idriche. L’attività di estrazione necessita di ingenti quantità d’acqua che vengono prelevate dai bacini della zona costringendo la popolazione locale ad utilizzare quella pompata e controllata dalla Glencore. L’azienda svizzera si era impegnata a garantire l’accesso all’acqua pulita, ma dai rubinetti non esce nulla. Gli animali bevono al fiume e muoiono, non c’è acqua per irrigare i campi, le particelle di polvere prodotte durante l’estrazione di rame pervadono aria, suolo e vegetazione facendo sì che la malnutrizione affligga il 42% della popolazione e l’insufficienza renale sia la prima causa di mortalità.

Nel febbraio 2012 uno studio effettuato dal Centro Nazionale della Salute e Arotezione dell’Ambiente confermò il rischio di contaminazione al quale è sottoposta la popolazione di Espinar, rischio dovuto principalmente ad agenti chimici come arsenico, cadmio e mercurio. Nella primavera dello stesso anno nacquero delle proteste guidate dall’allora governatore della provincia Oscar Mollohuanca Cruz: la repressione della polizia fu violenta e causò 4 morti con decine di feriti.

In questi anni enti locali e organizzazioni umanitarie hanno chiesto al governo peruviano e a quello svizzero di intervenire per salvare la popolazione di Espinar da quella che appare ormai come una sorte segnata. Nulla di significativo, però, è stato ancora fatto.

Il reportage

Scheda autore

Alessandro Cinque

Alessandro Cinque è nato nel 1988 ad Orvieto. Ha iniziato a scattare le prime foto a 16 anni, a 20 ha aperto il suo studio fotografico. Associa alla fotografia commerciale il reportage e la dedizione per il fotogiornalismo. Quotidiani e magazine hanno pubblicato suoi lavori (Corriere della Sera, Sette, Libèration, Gazzetta dello Sport, Africa, Focus). Nel 2017 ha pubblicato INCIPIT, il suo primo libro fotografico, ed è stato nominato Leica Ambassador per l’Italia. Nel 2018 ha ricevuto l’Award of Excellence al POYi, Bronze al MIFA categoria Editorial ed è finalista nelle categorie “Single Shot Award” and “Short Story Award” al Festival di Fotografia Etica di Lodi. Organizza inoltre viaggi e workshop fotografici.

Fotocamera: LeicaQ, Leica M10, Leica M9 + Drone DJI Spark
Obiettivo: Leica Summicron 50mm e 35mm

English version

Espinar, broken earth

Photography by Alessandro Cinque

Story edited by Antonio Oleari

 

In the heart of Peru, an entire community sadly victim of its own land.

 

The province of Espinar, in the Peruvian region of Cusco, is part of the southern mining corridor that, reaching up to Challhuahuacho, is estimated to supply 40% of the national production of copper, contributing to making Peru the second largest producer in the world. For over thirty years mining has become part of the economy of the area generating a net deterioration of the living conditions of indigenous peoples, whose livelihood is mainly based on agriculture and livestock.

 

In 2006 the Tintaya mine was bought by the multinational Xstrata Cooper, which a few years later, in 2013, merged with the Swiss company Glencore, giving life to one of the world’s largest consortiums able to control the entire production chain, processing, storage and transport of raw materials throughout Latin America. The strength of a multinational company of this magnitude has completely overturned the equilibrium of the area giving form to the enormous extraction complex of Antapaccay (expansion of the Tintaya mine after its closure due to exhaustion) and to the site in exploration of Ccoroccohuaycco, throwing the communities bathed by the Salado and Cañipia rivers into a state of total poverty.