Dodici mesi
WJ #126“Chi si consegna alla natura non ha bisogno dell’inconoscibile, del soprannaturale, per poter provar rispetto; c’è soltanto un miracolo per lui, ed è che tutto su questa terra, incluse le massime fioriture della vita, si sia semplicemente formato senza miracoli nel senso convenzionale della parola.” Konrad Lorenz
Che l’Appennino sia una montagna a dimensione d’uomo non è storia recente, si dice che il suo passato sia abitato e abitabile da così lungo tempo da essere il lavorio dell’uomo nei secoli, parte sostanziale del paesaggio. E se l’alienazione generale e sempre più diffusa dalla natura vivente di cui siamo tutti noi oggi in prima persona testimoni è in larga misura la causa dell’abbruttimento estetico e morale dell’uomo civilizzato, allora qui, sull’Appennino, si vive di bellezza.
Dodici mesi all’anno, con il sole, con il vento, con la pioggia e con la neve, ecco il racconto della vita di una famiglia riunita alle pendici del Monte Falterona, la seconda cima più elevata dell’Appennino Tosco-Romagnolo, nei pressi del Monte Falco. Dalla semina nei campi, al raccolto fra i castagni secolari, le ore scorrono lente attraverso l’obbiettivo fotografico di Emiliano, per riemergere dalla nebbia, quasi a voler risalire, ancora una volta, quegli stessi ancestrali pendii che da sempre le scandiscono, immutabili.
Gli spazi fra l’umano e la natura finiscono dunque per sovrapporsi, intrecciarsi, completarsi senza cesura, né distinzione d’essere; che in montagna c’è sempre qualcosa da fare, poiché qui la natura non si ferma, come nemmeno l’uomo, con il suo lavoro e la sua storia. Là dove la geografia diventa storia, la storia, a sua volta, si trasforma nella geografia di tutti quei volti che con inesauribile energia la coltivano e la determinano giorno dopo giorno, incessantemente. Sono i ritratti di Beppe, di Ivana, di Luca e di Andrea a comporre il mosaico di un anno di gesti e di silenzi; di idee, di progetti, di gioie e di pensieri; di sguardi a tratti assorti e allarmati, eppure sempre immensamente grati per tutto ciò che li circonda e li lega a questo mondo. Loro sanno che è qui, sull’Appennino, nel racconto di tutto ciò che colgono i sensi, che risuona la presenza di chi ci ha preceduto e che creazione e creature trovano davvero compimento, e non ci sono morti alla fine del tempo.