Dia de Muertos
WJ #97Di origine azteca, la festa dei morti celebrata in Messico, simboleggia la commemorazione per il ritorno dei defunti sulla terra. Nel 2003 l’Unesco l’ha dichiarata Patrimonio Orale e Immateriale dell’Umanità come “una delle espressioni culturali più antiche e di maggiore rilevanza per i gruppi indigeni del Paese.
“Il culto per la vita, se davvero profondo e totale, è anche culto per la morte. Le due sono inseparabili. Una civiltà che rifiuta la morte, finisce per negare la vita”.
Così scriveva Octavio Paz, tra i maggiori intellettuali messicani della seconda metà del Novecento, ne Il labirinto della Solitudine, descrivendo la mexicanidad, misteriosa e complessa filosofia del vivere del suo paese, caratterizzata, tra le altre cose, dalla mancanza di una separazione tra la vita e la morte. Senza la morte non ci sarebbe la vita, è una legge di natura. Questo postulato è profondamente radicato nella cultura messicana e ha origini antichissime, diversamente dalla mentalità europea per la quale l’accettazione della morte è un tabù insuperabile.
Mestizia e sobrietà sono le caratteristiche del giorno commemorativo dei defunti nel continente europeo e in Nord America, in Messico invece si lascia il posto a un variopinto carnevale fatto di danze e sfilate in costume, tappeti di petali arancioni di cempasutichl (i nostri crisantemi), concerti di mariachi dinanzi alle tombe nei cimiteri, dove si allestiscono veri e propri banchetti che durano tutta la notte, allietati da fiumi di tequila e mezcal, a simboleggiare un festoso ricongiungimento dei morti con le persone amate.
Secondo la tradizione popolare, i defunti tornano dall’aldilà per riunirsi con parenti e amici. In virtù di tale antica credenza, i Messicani preparano sugli appositi altari del Dia de Muertos generose e coloratissime ofrendas (offerte) per i defunti. Sugli altari dinanzi alle foto dei morti trionfano le calaveritas, dolcetti di cioccolato e teschi di zucchero colorati e l’immancabile pan de muertos, un pane dolce.
Protagonista indiscussa è la Catrina, di cui esiste anche un corrispettivo maschile, El Catrin, una figura scheletrica vestita di tutto punto, con tanto di cappello alla francese e piume di struzzo, parodia delle signore dell’alta borghesia messicana del primo Novecento.
Dalle foto di Filippo Cristallo si evince lo stupore e la curiosità dello sguardo europeo dinanzi ad un evento così straordinario e inconsueto. Egli tenta di catturare, attraverso i ritratti in bianco e nero di persone mascherate da morti o da Catrina, la paradossale vitalità di questo funerale pittoresco e l’attaccamento di un popolo a una tradizione che ha origine nella notte dei tempi. Questi travestimenti rappresentano pienamente l’immagine resa nota dalle incisioni di José Guadalupe Posada.