De innui ses?
WJ #129“Prangit Simaxis, Bàini est sentida
Po cust’imbistida chi anti fattu in Prati
Po cust’imbistida chi anti fattu in monti
S’ad’arregodai cust’essid’e monti
Po cantu procus anta potai
Cust’essid’e monti s’ad’arregodai
Ch’esti stan u cettu mali arrisutau…”
(Su xettu de Prau, canto a cruba tramandato oralmente dalla centenaria tzia Vitalia Carcangiu, che racconta la vicenda, realmente accaduta, di un conflitto a fuoco consumatosi sull’altipiano tra pastori di Bànnari e quelli di Simaxis che, sulla fine del Settecento, costò la vita di ben cinque persone, provocando un dolore tale da generare una canzone struggente)
Villa Verde (Bàini in sardo) è un comune di 310 abitanti della provincia di Oristano. Prima di assumere questa denominazione nel 1954 fu prima Bànnari e, poi dal 1868, Bànnari d’Usellus. Situato nell’area geografica denominata Alta Marmilla, sul versante nord-ovest del Monte Arci, è uno dei paesi della zona che sta subendo uno spopolamento drastico. Secondo l’ultimo report realizzato dal Centro Studi di CNA Sardegna, se nel 1961 la popolazione localizzata nei comuni dell’interno dell’isola era pari al 47% del totale regionale, nel 2020 essa è scesa al 33% e di questo passo potrebbe scendere al 29,7% nel 2050. Questo ha provocato un’enorme perdita di ricchezza nell’interno dell’isola, dove in soli sette anni sono andati perduti oltre 230 milioni di euro di reddito annuo dei residenti. Ma ovviamente non c’è solo il dato economico a preoccupare. Quello che rischia di perdersi, in primis, è la memoria.
Ecco perché è così importante incontrare i pochi abitanti rimasti, conoscere grazie a loro un piccolo spaccato della storia di questo territorio. C’è in essa una realtà fatta di alberi centenari, tradizioni antichissime, parole segrete racchiuse in libri di poesie, gesti che rivivono nel bastone tipico, nelle pietre di ossidiana (presenti anche nel simbolo del comune), nel fuoco. Tutti questi elementi raccontano vicende che dovrebbero essere conosciute, conservate e vissute ancora per poterle continuare a raccontare. La fotografia ne coglie un frammento che ha il sapore dell’universale: evoca e difende, espone al mondo e crea allo stesso tempo un riparo che ha i caratteri dell’incorruttibilità.