Dall’Escambray alla Sierra

WJ #133

Gli anziani raccontano che un uomo di colore arrivò in un villaggio sulle colline, umile, senza altri beni che sé stesso e per mestiere la magia. Veniva a calmare l’angoscia degli uomini dopo i pasti perché, sebbene avessero lo stomaco pieno, le loro bocche si lamentavano di non riuscire a trattenere i sapori. Apparve a casa di Obtimio Cuesta e lì mangiò fino ad essere sazio e all’udire i lamenti del contadino e di sua moglie, decise di rompersi due falangi. Poi affondò i piedi nella sporcizia del patio e il suo corpo si trasformò in un tronco sottile, eretto, legnoso, mentre i pezzetti delle dita che penzolavano dalla pelle diventarono verdi. Prima di finire di trasformarsi in pianta, disse che quando il chicco fosse maturato, avrebbero dovuto prima toglierlo dal guscio, poi metterlo ad asciugare e infine arrostirlo fino a farlo diventare color di scarafaggio, dunque avrebbero dovuto ridurlo in polvere per poterlo passare in un colino insieme ad acqua bollente e lo avrebbero dovuto bere come medicina, dopo aver mangiato, per aggiustare il gusto. Il giorno dopo l’uomo nero era scomparso; di lui era rimasto solo il cespuglio assieme all’esperienza straordinaria che i due poterono raccontare ai compagni come la visita di un Cagüeiro.

La storia corse rapida lungo le strade dell’Escambray fino alla Sierra, dove il ciclo del caffè determina albe e tramonti. Bollire l’infuso è una pratica quotidiana che alimenta una delle tradizioni culturali fondamentali nella vita dell’uomo rurale, al di là dell’effetto placebo e della colazione. È un rituale che condensa una produzione di carattere domestico dove si afferma e si insinua nella coscienza del montanaro il potere silenzioso e assuefacente dello spirito del seme. Viste così, le qualità animistiche del caffè e la liturgia della sua adorazione ne fanno una divinità antica e modesta che non si sa essere onnipresente, ma che è venerata dagli umili sacerdoti perché non venga meno e conceda sempre i benefici di un tempo. Questa ritualità sfugge dalle mani del contadino dai capelli grigi nella sua prigione di fresca boscaglia e ammalia beffardamente gli imberbi per assicurarsi futuri devoti. Così apre e chiude il respiro e assiste, con discrezione nel suo piccolo angolo adorato e profumato della cucina, alle dimensioni complesse di questa realtà.

Un’amarezza che associata ad un’altra addolcisce la drammaticità di un contesto paradossale di magia e oblio, che divide radicalmente il mondo dei sogni, degli infiniti e delle apparenze con l’immediato e il tangibile. I frammenti di alcune micro-storie di questo ambiente diventano metafore di alcuni momenti di vita con l’emergere di un concetto estetico dalla composizione e dall’eventualità, come si può vedere nel reportage fotografico Dall’Escambray alla Sierra. La dinamica derivante da ambienti e figure individualizzate offre una visione che conferma l’interesse antropologico dell’arte dopo il 1990.

Con questo lavoro, il fotografo Alcides D. Portal Alfonso esplora temi tradizionali nelle arti visive cubane, ma tocca al tempo stesso confini poco esplorati della fede dei cubani nel ventunesimo secolo.

Il reportage

Scheda autore

Alcides Daviel Portal Alfonso

Dall’Escambray alla Sierra 11

Fotografo e regista audiovisivo. Professore di sotria dell’arte dal 2014 al 2017 presso l’Università di Cienfuegos. Membro dell’associazione Hermanos Saíz (AHS) con 35 anni di riconoscimento attivo, conduce laboratori di produzione audiovisiva e fotografia sociale con importanti registi e fotografi cubani e stranieri. Le sue fotografie sono state pubblicate sulla rivista culturale Ariel, sul quotidiano Juventud Rebelde e sul sito digitale Cubadebate. Ha illustrato libri per gli editori Mecenas e Reina del mar e ha esposto in diverse mostre fotografiche, sia personali che collettive. Membro del registro dei creatori audiovisivi e cinematografici dell’Istituto cubano di arte e industria cinematografica (ICAIC), dirige un workshop di fotografia presso l’Accademia delle Arti Benny Moré di Cienfuegos. Premio Biennale della critica e della grafica in fotografia della rivista Tablas 2020.

English version

Del Escambray a la Sierra

Fotos de Alcides Daviel Portal Alfonso. Texto de Elianet Medina Abreu

Los viejos de antes dicen que a un caserío de las lomas llegó un negro, humilde, sin más posesión que sí mismo y brujero de oficio. Venía a calmar la angustia de los hombres después de las comidas pues, aunque sentían el estómago repleto, la boca se quejaba de no aguantar los sabores. Se apareció en casa de Obtimio Cuesta y allí comió y se hartó, y al oír el lamento del guajiro y su mujer se quebró dos falanges. Y mientras hundía los pies en la tierra del patio su cuerpo se volvió un tronco fino, erguido y leñoso, al tiempo que los pedacitos de dedo que estaban guindando del pellejo se hicieron verdes. Antes de terminar de convertirse en mata dijo que cuando madurara el grano, le quitaran la cáscara, lo pusieran a secar, lo tostaran hasta que se volviera color cucaracha, lo hicieran polvo, lo pasaran por un colador junto con agua hirviendo y lo tomaran como medicina, después de comer, para tranquilizar el gusto. Al día siguiente, el negro no se veía por todo aquello, solo quedaba la mata y la experiencia fantástica que pudieron explicar a los compadres como la visita de un cagüeiro.

El cuento se fue por los caminos del Escambray a la Sierra, donde el ciclo del café determina amaneceres y ocasos. Hervir la infusión es una acción cotidiana que engrosa una de las tradiciones culturales definitorias en la vida del hombre rural, más allá del efecto placebo y el desayuno. Es un ritual que condensa una actividad productiva de carácter doméstico donde se afirma el poder silencioso y adictivo del espíritu de la semilla y repta en la conciencia del montañés. Visto de este modo, las cualidades animistas del café, la liturgia de su adoración, lo convierten en una deidad antigua y modesta que no se sabe omnipresente, pero sí venerada por los humildes sacerdotes para que no desmaye y otorgue los beneficios de antaño. Se escurre de las manos del guajiro canoso en su prisión de monte fresco, y burlón hechiza a los imberbes para asegurar futuros devotos. Así, abre, cierra alientos y atestigua, discretamente en su rinconcito adorado y perfumado de la cocina, dimensiones complejas de esta realidad.

Una amargura con otra suavizan el drama de un contexto paradójico de magia y olvido, que divide muy radicalmente el mundo de los sueños, infinitudes y aparecidos con lo inmediato y tangible. Así, los fragmentos de algunos microrrelatos de este entorno se metaforizan en escenas de la vida y el surgimiento de un concepto estético desde la composición y la eventualidad, como se puede apreciar en una muestra del ensayo fotográfico Del Escambray a la Sierra. La dinámica surgida de ambientes y figuras individualizadas ofrece una visión que confirma el interés antropológico del arte posterior a la década de 1990.

Con esta muestra, el fotógrafo Alcides D. Portal Alfonso, explora temas tradicionales en las artes visuales cubanas, pero aristas poco exploradas de la fe de estos cubanos del siglo XXI.