Cuba: tra passato e futuro

WJ #129

Vi lascio in eredità tutte le mie paure, ma anche la speranza che presto Cuba sia libera. (Reinaldo Arenas)

Le coordinate geografiche in cui si è scritta la luce di questi scatti tracciano la linea del Malecón, il confine tra terra e mare, tra realtà e utopia, tra passato e futuro. Su questa passeggiata di otto kilometri che percorre L’Avana si ammirano i suggestivi tramonti dei Caraibi, si specchia nel mare cristallino il riflesso confuso della “Perla delle Antille”, la terra della meraviglia, delle rivoluzioni, delle contraddizioni: Cuba. Se nelle parole si volesse cercare l’essenza stessa del significante, superando l’arbitrarietà che per natura lega le due facce del segno linguistico, ecco apparire Cuba nella veste della sua etimologia taina e autoctona di “terra fertile”, “terra al centro” di un continente plurale, immenso, diverso e ricco di espressioni culturali a lungo soffocate dall’esotismo imperante di provenienza europea. A partire dai diari di Colombo, a cui si deve l’incontro più straordinario della storia dell’umanità, sembra persistere e ripetersi un’unica parola che descrive Cuba e, più in generale, l’America Latina: “maravilla”.

Nel nuovo continente tutto è meraviglioso, tutto è immenso, tutto è iperbole di una realtà scandagliata dallo sguardo dello straniero in ogni suo aspetto e quasi sempre in ottica contrastiva con il vecchio mondo. Questa nuova dimensione stupisce i primi europei che ne toccano le terre, ammaliati dai giaguari dagli occhi di giada e dalle ninfe che levitano in una natura lussureggiante e lasciva. Il discorso sull’America Latina e su Cuba in particolare si è nutrito per secoli di un simile immaginario, carico di esotismo e alimentato dall’occhio eurocentrico che il più delle volte ha esaltato il pittoresco e lo stereotipo soffocando l’autenticità, l’anima e la validità di un’espressione culturale tutta americana. Cuba, nell’incredibile mosaico culturale dell’America Latina, rappresenta un paese estremamente complesso, intessuto di una storia segnata da crisi acutissime come quella del cosiddetto “Periodo Especial” seguita al crollo del muro di Berlino e alla profonda instabilità derivante dall’enorme grado di dipendenza dall’allora URSS. Cuba incarna la nazione delle posizioni politiche determinanti, dei mille pronunciamentos, del rapporto tormentato e sempre ambiguo con el hermano mayor, quel fratello ingombrante e vicino di casa, gli Stati Uniti.

Cuba oscilla tra aperture e chiusure, tra rivoluzione e stasi, tra la luce che filtra nelle “callecitas” de L’Avana Vecchia all’oscurità degli apagones, le interruzioni di energia elettrica all’ordine del giorno, segno evidente di un’indipendenza energetica ancora lontana. In questo movimento fa i conti con le contraddizioni che la percorrono: il suo posto all’interno della geopolitica, gli occhi degli attori mondiali puntati sulle vicissitudini di questa terra che per lungo tempo, specie negli anni Cinquanta ha rappresentato la sintesi perfetta di gran parte dei mali che attanagliavano l’America Latina, l’immobilismo cubano, le aspettative frustrate e disattese ripetutesi inesorabilmente in un tempo che, come nelle migliori narrazioni della letteratura ispanoamericana, appare ciclico. E poi le ribellioni, i soprusi, gli atti di violenza perpetrati nel corso di una grande e nota storia, la condizione di isolamento, l’esilio, la diaspora. Eppure in questa complessa polifonia si scorge un contrappunto fatto di storie minori, una narrazione di attimi autentici in cui Cuba non è il lunapark caraibico ad uso e consumo dei turisti ma una terra capace di scrivere le sue storie sotto una luce diversa e per certi versi inaspettata. Una terra dalla bellezza debordante che si svela tra la polvere delle strade, nel fragore delle acque del Salto del Arco Iris e ne “la vista del tramonto ai tropici” come scrisse una delle più belle penne della letteratura cubana, Guillermo Cabrera Infante. La bellezza persistente e imperitura che dal Malecón volge l’occhio al mare, afferra per mano il passato senza stringere troppo la presa. Ora guarda al futuro, senza mettersi in posa.

Il reportage

Scheda autore

Andrea Aversa

Cuba: tra passato e futuro

Nato a Roma nel 1995 inizia a sperimentare attraverso il linguaggio fotografico e audio-visivo fin dall’adolescenza. L’interesse per le immagini come mezzo espressivo, portatore di memoria, vite vissute e sogni possibili viene accentuato grazie alla figura di suo nonno, elettricista presso una grande ditta in Pakistan che nelle ore libere proiettava a suoi operai film italiani, per farli sentire più vicini alla loro patria. I racconti e le proiezioni di quelle pellicole in Super 8mm lo spingono ad iscriversi all’Accademia di Belle Arti di Roma dove si laurea nel 2018 incentrando la propria tesi sulle strategie di comunicazione e propaganda del terrorismo islamico, ponendo attenzione sulla tematica della realtà nel nuovo millennio, indagando ed analizzando in che modo molti registi si siano approcciati a eventi mediatici contemporanei. Predilige fotografie dal finale aperto che lasciano spazio all’interpretazione, con un pizzico di ironia e parallelismo figurativo che fa di soggetti apparentemente distanti qualcosa di estremamente vicino. Egli definisce la sua fotografia come un linguaggio capace di migliorare l’aspetto delle cose e al tempo stesso in grado di scacciare via i pensieri negativi di una una giornata grigia. ”Per me fotografare significa saper catturare attraverso fortuna ed istinto il momento decisivo; saper cogliere delle piccole sfumature insite negli atteggiamenti umani che riescano ad abbracciare sentimenti universali lasciando a chi guarda un’impronta indelebile del mio lavoro”.

Fotocamera: Nikon D310, Nikon D810
Obiettivo: Sigma 10-20mm f 4-5.6 EX DC HSM