Quarantene
WJ #112 speciale covidQuarantena, nuovi approcci fotografici di spazio e tempo
Alcuni fotografi, soci e simpatizzanti di WJ riflettono con scatti e parole sui nuovi modi di vivere lo spazio e il tempo durante le restrizioni imposte a causa di Covid-19. Negli ultimi mesi sui social sono esplosi filoni di foto domestiche per raccontare la vita durante la quarantena per Covid-19. Voglia di riscoprire spazi conosciuti ma che ora si permeano di significati nuovi, una percezione del tempo che scorre più lentamente, riti quotidiani dati per scontati e che ora diventano rituali apotropaici per allontanare uno dei tanti mali che attanagliano la nostra vita nell’anno 2020. La redazione di Wj non è stata insensibile a questa prolificazione di lavori. Anzi. Ha ricevuto tanti lavori, soprattutto di soci e simpatizzanti e di fotografi affermati e si è messa al lavoro. Legati da un filo rosso unico, le ispirazioni fotografiche indagano non solo i cambiamenti umani all’interno di spazi certamente intimi, sicuri e ospitali, bensì il cambiamento del rapporto tra l’uomo e lo spazio stesso. Niente è più come prima. La casa è diventato un luogo in cui espletare tutte le nostre funzioni sociali, le medesime, seppur ridotte, che prima si proiettavano fuori, all’esterno, sulla strada.
The importance of being nowhere
Foto di Danilo Garcia Di Meo. Testo di Giulia Antonelli
Sveglia. Cos’è casa?
Nascosto nell’armadio, potresti intrappolare tutto in una valigia,
come nella scatola di cioccolatini di Forrest Gump.
Non puoi correre, ma puoi scegliere.
Devi stare fermo, acqua in bottiglia.
Percepisci ogni soffio di polvere sotto i tuoi piedi,
ogni venatura delle foglie sui polpastrelli.
Il rock, quel ritmo, viene dalle maglie stropicciate,
era una serata affollata e confusa,
rimbomba nel petto, svegliando il nucleo del mio equilibrio.
Questa quotidianità fuori-fuoco mi ha bloccato in una bolla di sapone
dove le ombre sono pregne di possibilità,
le ore si sovrappongono tra lavoro e castelli in aria,
ogni angolo dello spazio sembra infinito.
Percepisco una zampetta allungarsi, a caccia di farfalle,
mi ritrovo in un campo di margherite che sa di primavera e fragole.
E ti vedo, in pacato raggio di sole, dormire sulla nostra spiaggia,
e la vastità del mondo perde di significato.
Quando il tempo si congela nel banale reiterarsi delle giornate,
condividiamo i nostri bisogni scremati e acquistiamo otto euro al kg di ossigeno,
la finestra è il confine della nostra terra di assoluta consapevolezza,
e posso sentire piuttosto che pensare.












Gli spazi della socialità
Foto di Valeria Altavilla e Vittorio Giannitelli
“Vivere questo periodo di isolamento forzato comporta per ognuno di noi fare i conti con delle limitazioni sia fisiche che emotive. Rinunciare a un certo tipo di socialità a cui eravamo abituati è necessario ma faticoso”, affermano Valeria Altavilla e Vittorio Giannitelli da Bologna. “La distanza ci fa riscoprire la necessità dell’altro come soggetto necessario a creare la dimensione di un “noi” capace a sua volta di proiettarci fuori dai nostri ‘io’”. Ma c’è di più. “In questo senso, non solo la ridefinizione dei momenti di socialità attraverso le connessioni telematiche, ma anche la riscoperta di terrazzi e balconi come oggetti attraverso cui interfacciarsi con l’altro, creano un’interlocuzione tra interno ed esterno che non è basata solo su una dimensione fisica. Gli schermi di computer, tablet e smartphone. Una finestra aperta su un cortile condominiale in periferia. I corpi che si dispongono all’interno della texture creata dai terrazzi della palazzina di fronte. Elementi della nuova forma di rapporto di cui stiamo scoprendo la necessità o di forme di interazione dimenticate a causa della vita frenetica a cui ognuno di noi è obbligato all’interno di una società basata sul modello neoliberista di produzione e riproduzione”.










Tanto tempo e poco spazio
Foto di Rossana Messana
Del tempo, non solo quello in cui siamo chiusi in casa, ma della percezione dello stesso, parla Rossana Messana che vive questo lockdown come un’inversione di tendenza nella nostra sensibilità spazio-temporale: “Prima della pandemia ci trovavamo ad avere pochissimo tempo e tantissimo spazio, adesso abbiamo tantissimo tempo e poco spazio. La fotografia è strettamente legata al tempo, è tempo che rimane fisso nelle immagini. Questo rallentamento obbligato aiuta il fotografo a riappropriarsi del suo tempo; lo aiuta a riprendersi quello spazio necessario per una pulizia dello sguardo, facendo posto ad una riflessione più profonda che purtroppo non è sempre possibile”.










Incomunicabilità Interiori
Foto di Vittoria Sichi
“La quarantena ha totalmente stravolto la nostra quotidianità e questo forse è ancora più vero per chi è abituato a vivere in centro città. Case un tempo reputate piccole ma comode in quanto inserite al centro di una città frenetica e vitale, che ora appare tetra e vuota, possono allora tramutarsi in una prigionia dell’anima.”
“Il lockdown ci ha obbligati a guardare dritto allo specchio paure che non eravamo ancora pronti ad affrontare e a dialogare goffamente con esse, scoprendo così che l’anima, per essere libera, ha bisogno di guardare fuori e del confronto con l’altro.”










Destrutturare e ridimensionare
Foto di Matteo Bergami
Anche Matteo Bergami ha lavorato su se stesso e sul suo modo di fotografare. “Abituato a spostamenti continui per lavoro e per i miei vari viaggi, abituato a fare fotografia dinamica, street, persone, nella totale inconsapevolezza della mia e della nostra libertà mi sono adattato per la sopravvivenza a questa situazione esplorando nuovi contesti.” “Arricchendo la mia cultura fotografica e cinematografica, ho iniziato a tradurre le immagini secondo la mia visione. Mi sono trovato costretto come tanti al tempo del Covid-19 a destrutturare le mie prospettive per ridimensionarle.” La costruzione di immagini plasma nuovi movimenti e ridefinisce il concetto di libertà. La volontà di agire resiste, lo spazio crolla ed anche un respiro, quanto di più scontato soffoca. Che di scontato non c’è nulla, tantomeno la libertà.









Ai due lati dell’obiettivo
Foto di Alice Arduino
Alice Arduino, per sua stessa ammissione, predilige invece, sdoppiarsi in fotografo e soggetto ritratto, come avviene nei selfie. “Il mio racconto – dice – viene realizzato con un punto di vista soggettivo. Le foto fatte sono selfie. Sono io che fotografo me stessa, i miei movimenti o gesti. Non c’è un occhio esterno che lo fa e mi segue”. E questo prevede il dover pensare e realizzare che ogni tua azione può diventare un’immagine e come tale porre una maggiore attenzione a quello che fai. Devi sdoppiarti e immaginare che sia tu stesso a farti una foto come se fossi staccato da te. Il braccio diventa la distanza con cui ti narri. Da vicino. A un metro di distanza. Lo stesso, guarda caso, stabilito dal decreto per le norme di sicurezza pubblica tra persone”. L’autrice riprende un concetto storico della fotografia, ossia quello di testimoniare dei fatti e documentare un cambiamento. “Se gli eventi si modificano anche la nostra percezione del tempo e dello spazio cambia. Il compito della fotografia è creare archivi di immagini che possano essere una testimonianza del cambiamento”.











I follow the light inside
Foto di Walter Borghisani
Walter Borghisani fotografo che lavora tra progetti documentaristici e fotografia commerciale si è invece concentrato sui particolari, una ricerca di un sé attraverso l’isolamento e la scoperta dei dettagli di un quotidiano. “Fondamentalmente da più di un mese sono in isolamento a causa del Covid19. Mi sono ritrovato ad aver voglia di fare fotografia senza potere (anche per una questione etica e morale) uscire di casa.” “Ho preferito non scadere nella facile retorica di reportage sulla sofferenza o sulle storie di chi vive l’isolamento. Impotente, come tutti, davanti alla scena del quotidiano mi sono limitato a coglierla senza provare ad intervenire per modificarla. Impotente, ho seguito la luce, anche dentro casa: e questo mi sembra già un buon messaggio.” “Seguo la luce, dentro”









La quotidianità
Foto di Pietro Medici
Secondo Pietro Medici a cambiare è stato soprattutto il nostro rapporto con la quotidianità e con i gesti semplici che prima davamo per scontati. “Il rapporto con lo spazio che ci circonda e con gli oggetti di uso quotidiano penso sia cambiato nel momento in cui è diventato l’unico spazio da vivere in una sollecitazione emotiva in cui siamo tutti coinvolti e da cui nessuno può nascondersi; questo – continua l’autore – ci ha portato ad avere più tempo per notare gli oggetti vecchi e nuovi (penso ad esempio alle mascherine) che abbiamo in casa, (ri)scoprendone alcuni fondamentali ed altri superflui, riflettendo su ciò che è davvero importante e su ciò che invece lo è solo perché cerchiamo di riempirci la vita con troppe cose”. C’è anche un aspetto ulteriore che Medici sottolinea. In quanto insegnante di una scuola superiore, in questi mesi si è dovuto confrontare con l’insegnamento online a causa della chiusura delle scuole. Medici ha scattato una foto ai suoi studenti durante una lezione. “La fotografia dei miei studenti assume sicuramente un significato particolare in quest’ottica; una parte del mio mondo e della mia vita, fatta di interazione con gli altri, di empatia, di rapporti umani che si rinnovano ed evolvono nel quotidiano, ha subito un cambiamento eccezionale. Quello che prima era puramente uno strumento di lavoro freddo e senz’anima, il computer, è improvvisamente diventato il mezzo indispensabile con cui tenere vivi questi rapporti”.






Travelingathome
Foto di Malì Serena Aurora Erotico
Curioso e interessante il lavoro “Travelingathome: il mondo in una stanza” di Malì Serena Aurora Erotico che con un pizzico di fantasia propone viaggi esotici nella propria casa, ridisegnando gli spazi, il tempo e le distanze. “Da instancabile viaggiatrice quale sono dopo una settimana di clausura in solitaria ho cominciato a immaginare come poter continuare a viaggiare nonostante l’impossibilità di muovermi da casa. Così ogni ambiente del mio appartamento è stato trasformato in una meta turistica. Il bagno è diventato una sontuosa piscina dorata negli Emirati Arabi (simbolo dell’opulenza) dove sorseggiare un buon cocktail, l’angolo delle piante in salotto il Jardim Botanico di Rio de Janeiro dove leggere un bel libro sotto le fronde tropicali, la cucina un rinomato ristorante parigino dove fare una cenetta romantica con un partner immaginario, l’armadio a specchio e una sedia con le ruote si sono trasformati per magia in un bel giro con la decapottabile al tramonto sul lungomare di Montecarlo, mentre il corridoio il Mekong dove grazie a un quadro rettangolare ho potuto navigare e pescare ed infine le candide lenzuola sul letto il manto nevoso delle Alpi svizzere dove esercitarmi con lo snowboard.”






La scelta di cosa ritrarre
Foto di Giulietta Palombarini
In termini più ampi si esprime la giovanissima Giulietta Palombarini. “Quando ancora si poteva uscire potevamo scegliere dove andare a fotografare e chi fotografare, da quando la quarantena è iniziata la possibilità di scelta dei soggetti e dei luoghi si è ridotta. Così ho potuto imparare a dare più rilevanza ad oggetti e situazioni che prima non ritenevo interessanti.” “La foto che ho scattato a mio padre mentre apparecchia un piccolo tavolino in balcone penso esprima bene questo concetto. Una volta l’avrei ritenuta una foto scontata di un’azione abituale mentre ora penso che rappresenti diverse cose, ad esempio come si è imparato ad accudirsi l’un l’altro con più cura e tempo durante questi lunghi giorni di convivenza”.








Outside and beyond quarantine
Foto di Alice Blandini
Alice Blandini dal suo bilocale di Milano ci porta in giro per il mondo, un lungo viaggio in cinque continenti. Nelle giornate solitarie di “reclusione” milanese si è messa in contatto tramite facetime, skype e messanger con molte persone da svariati angoli del mondo: Italia, Portogallo, Spagna, Svezia, Ungheria, Francia, Russia, Trinidad, Usa, Canada, Messico, Giappone, Cina, Australia, Nuova Zelanda, Brasile, Argentina, Bolivia, Taiwan, India, Indonesia, Cile, Africa. Foto, video, parole che confluiranno in un progetto multimediale molto ampio. ”In questo periodo abbiamo riscoperto l’arte dell’adattamento che è alla base dell’evoluzione umana. Superando i propri limiti, la propria solitudine e reinventando se stessi puoi scoprire nuove cose come il “teletrasporto”: accorciare le distanze viaggiando attraverso una videocall di stato in stato e conoscere nuove persone, vedere che nei momenti più bui la solidarietà ci unisce anche se siamo lontani o -fino a ieri- perfetti sconosciuti.







Quarantine, love and photography
Foto di Francesco Trondo
Anche il fotografo Francesco Trondo con il suo progetto ha lavorato sul concetto di distanza. Trondo spiega che il progetto è nato in “questi giorni di pandemia, destinato a quelle coppie di clienti e di amici che si ritrovano costretti a rinviare il proprio matrimonio o il servizio fotografico in dolce attesa. Per restare vicini ho pensato di realizzare questo piccolo servizio fotografico restando comodamente a casa in videochiamata”. Anche qui la tecnologia corre in aiuto per sopperire alle distanze e l’obiettivo diventa la webcam del pc.





Trasmigrazione
Foto di Sirio Tessitore
Da fuori a dentro in un attimo. Sirio Tessitore propone il suo sguardo su quanto causato da Sars-Cov-2. Una sorta di trasmigrazione dalla vita “di fuori” a quella di “di dentro” insieme a sua moglie Claudia. “Il nostro appartamento, prima vissuto in fretta, è diventato rifugio, palestra, sala di meditazione e centro della vita familiare. Nelle giornate di tempo buono saliamo nella terrazza condominiale, il quartiere ostiense di solito molto frequentato è insolitamente silenzioso. Salvo poche uscite per la spesa siamo a casa da più 40 giorni. Prima della quarantena Claudia lavorava in un centro sportivo, ora chiuso a causa dell’emergenza coronavirus. Io sono un fotografo attualmente senza lavoro. Siamo entrambi privi di reddito e con una prospettiva lavorativa futura molto vaga.”










Il prezzo del valore
Foto di Giovanna Dell’Acqua
Il valore di chi ha lavorato durante la Fase 1 del Covid è il fulcro del progetto fotografico di Giovanna Dell’Acqua che ha approfittato dei pochi momenti di “ora d’aria” per mettere in risalto il ruolo talvolta marginale di alcune categorie lavorative della nostra società.
“Nei miei incontri a distanza di sicurezza, necessari per procurarmi quello che mi serviva per affrontare la quarantena, mi sono resa conto dell’importanza che i negozianti hanno avuto per la mia vita e per quella di tutto il quartiere. Mi sono messa nei loro panni, ho provato a immaginare la loro stanchezza dopo turni estenuanti e la paura che hanno provato a causa del virus. Anche queste persone per me sono degli eroi, perché la loro attività ha reso la quarantena più sostenibile per tutti. Ho quindi deciso di ritrarli, abbinando i volti spesso sfiniti e spaventati alle cose che mi hanno venduto, ma quello che più mi ha colpito sono stati i sorrisi di alcuni che hanno dimostrato di aver capito il mio intento, cioè di rendere visibile il prezzo del loro valore”.

















