Click & Care

WJ#150

“Non importa quello che stai guardando, ma quello che riesci a vedere.” Henry David Thoreau

Ogni laboratorio è una esperienza a sé stante e difficilmente riproducibile con gli stessi risultati. Il workshop Click & Care non sfugge a questa condizione, anzi ne è la conferma. A partire dal mese di febbraio 2024, presso il Centro Socio Riabilitativo Residenziale CSRR Selleri Battaglia, Witness Journal ha realizzato questo progetto, cofinanziato attraverso un contributo erogato a fine 2023 dalla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna a sostegno di progetti di solidarietà sociale. Il cuore del progetto, realizzato grazie ad una bella sinergia tra vari membri dell’Associazione WJ, si è concretizzato nell’attuazione di un workshop condotto da Giulio Di Meo. L’obiettivo voleva essere trasferire e valorizzare “abilità”, in un contesto che distortamente viene contraddistinto da “dis-abilità”: un’incognita, se non una sfida.

Il centro Selleri Battaglia è una residenza dove vivono persone con disabilità, è gestito dall’associazione AIAS onlus e dalla Cooperativa Sociale Società Dolce. Realizzare un laboratorio fotografico all’interno di una struttura residenziale, dove le persone vivono quotidianamente, comporta uno sforzo in più per i conduttori del workshop che devono anche cercare di inserirsi nel contesto, rendendosi compatibili con tutte le attività assistenziali, educative, ecc. che si vi si svolgono. Come molte volte avviene nei contesti caratterizzati dalla “disabilità” vengono di fatto ribaltate le visioni ed i luoghi comuni. Già in partenza, nel nostro caso, non si parla di inclusione di inserimento del disabile in un contesto, ma esattamente il contrario; è il “normodotato”, l’esterno che deve avere la capacità di inserirsi, farsi accettare.

La parte iniziale del workshop è stata improntata sul trasferimento di alcune competenze fotografiche dai conduttori verso i partecipanti e da subito è apparso come queste informazioni venissero rielaborate dai partecipanti in rapporto alle proprie capacità e sensibilità. Per esempio, una partecipante con una patologia che la costringe a posture scomposte, a gesti difficili da controllare, nell’espressione estetica della fotografia e del ritratto che proponiamo di realizzare, esplicita di voler ricercare l’equilibrio e la bellezza.

Difficilmente potevamo prevedere di affrontare ed approfondire da subito questi aspetti.

Si prosegue e si cerca di superare ogni ostacolo possa presentarsi. Il gruppo è composto da persone con notevoli handicap motori, alcuni con deficit cognitivi medio lievi, tutti impossibilitati a gestire in autonomia una macchina. La difficoltà a scattare è comunque la prima ad essere superata; tutti partecipano alla sessione di scatto dei ritratti con l’utilizzo del cavalletto. La costruzione di un proprio ritratto attraverso la composizione fotografica con una propria immagine ed oggetti che identifichino ed appartengono è stata la traccia di lavoro del laboratorio.

La ricerca di immagini, di oggetti per comporre il ritratto non è stata per niente un lavoro banale. Con il progredire del lavoro di ricerca e scatto i partecipanti hanno portato alla luce gli aspetti e le esperienze che gli oggetti scelti riportavano alla luce. In questo abbiamo colto un percorso non solo di ricerca ma di auto valorizzazione e di consapevolezza. Per i partecipanti, il racconto di se stessi attraverso la fotografia, l’origine, la genesi e le conseguenze della propria disabilità poteva rappresentare un ostacolo, una difficoltà.

C’è stato chi ci ha fatto addentrare nei suoi gusti musicali e le sue frequentazioni prima del trauma subito. Chi in carrozzina dalla nascita si è presentato alla sessione di scatto con un pallone tra i piedi stupendoci con il suo palleggio, retaggio del suo passato di giocatore in carrozzina, per un ritratto costruito sulle proprie abilità. Non è mancato chi, con alle spalle una vita spezzata in due, come la sua colonna vertebrale dopo un incidente, con serenità, ha voluto essere rappresentata anche da una sua opera che rappresenta plasticamente proprio questa frattura. Senza un briciolo di commiserazione o recriminazione ha voluto dare evidenza del suo essere solare oggi, affiancando i suoi disegni, i ritratti a quella frattura.

Nel lavoro che abbiamo portato a termine ci ritroviamo tante emozioni ed una pienezza di contenuti e suggestioni. Non sappiamo se con le nostre “abilità” siamo riusciti a rappresentare attraverso la fotografia i mondi che ogni partecipante ci ha permesso di avvicinare, lo vorremmo molto. Non siamo certi di essere riusciti a trasferire ai partecipanti le competenze per intravvedere nella fotografia uno strumento per comunicare, scambiare emozioni. Abbiamo avuto la sensazione che poco alla volta nel workshop il lavoro sull’autoritratto sia diventato l’occasione in cui ritrovarsi, rivalutare le proprie capacità e valorizzare la propria personalità. Sicuramente ha rappresentato per noi una esperienza significativa, di conoscenza, di scambio tra diverse abilità. Le nostre intenzioni di far conoscere ed avvicinarsi alla fotografia, hanno avuto come ritorno lezioni di vita che ci hanno arricchiti, ripagati di aspettative che non avevamo.

Il reportage

Scheda autore

Gruppo WJ Bologna

Progetto a cura del gruppo WJ Bologna | CSRR Selleri Battaglia | Bologna

Marzo | Maggio 2024

Fotografie di: Lollo Loris Bedosti, Claudio Cantù, Enrica Chili, Carla Crivellari, Giulio Di Meo, Valeria Fiorentino, Sabrina Flocco, Roberto Lambertini, Anna Pizzutolo, Roberta Sant’Andrea e Simone Senarega.

Laboratorio di fotografia con Giulio Di Meo

Assistenti: Claudio Cantù e Sabrina Flocco

Coordinamento: Emanuela Pergolizzi e Laura Raitè

Educatori: Roberto Lambertini e Giovanni Preiti

Cofinanziato da: Fondazione del Monte

English version

Click & Care

A project by Witness Journal – Workshop led by Giulio Di Meo
Text by Claudio Cantù and Laura Raitè

“It’s not what you are looking at, but what you can see.” – Henry David Thoreau

Each workshop is a unique experience, difficult to replicate with the same results. The Click & Care workshop is no exception; rather, it is a confirmation of this principle.

Starting in February 2024, at the Centro Socio Riabilitativo Residenziale CSRR Selleri Battaglia, Witness Journal realized this project, co-financed by a grant provided at the end of 2023 by the Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, supporting social solidarity projects. The core of the project, realized thanks to a wonderful synergy among various members of the WJ Association, materialized in the form of a workshop led by Giulio Di Meo. The goal was to transfer and enhance “skills” within a context that is often erroneously labeled as “disability”—an unknown, if not a challenge.

The Selleri Battaglia Center is a residential facility for people with disabilities, managed by the AIAS Onlus association and the Cooperativa Sociale Società Dolce. Organizing a photography workshop within such a residential facility, where people live on a daily basis, requires extra effort from the workshop leaders, who must also integrate into the environment while being compatible with all the assistive, educational, and other activities taking place there. As often happens in contexts defined by “disability,” the typical perspectives and stereotypes are turned upside down. From the outset, in our case, it’s not about including or integrating people with disabilities into a context, but rather the opposite: it is the “able-bodied,” the outsider, who must have the ability to fit in and be accepted.

The initial part of the workshop focused on transferring some basic photographic skills from the instructors to the participants. It quickly became apparent how these pieces of information were reinterpreted by the participants in relation to their own abilities and sensitivities. For example, one participant, with a condition that forces her into awkward postures and uncontrollable gestures, expressed her desire to find balance and beauty in the photographic and portrait expression we were attempting to create.

We could hardly have predicted we would delve into and address these aspects so quickly.

The group consisted of people with significant motor disabilities, some with mild cognitive deficits, all of whom were unable to operate a camera independently. The difficulty of taking photos was the first obstacle to overcome. However, all participants engaged in the portrait photography session with the use of tripods. Building a self-portrait through photographic composition, incorporating their own image and objects that identified and belonged to them, was the main focus of the workshop.

The search for images and objects to compose the portrait was by no means a trivial task. As the work progressed, the participants brought to light aspects and experiences tied to the objects they chose. In this, we observed not just a process of exploration, but of self-empowerment and awareness. For the participants, telling their own story through photography—origin, genesis, and consequences of their disability—could have been an obstacle, a challenge.

There were those who took us into their musical tastes and past social interactions before the trauma they experienced. One participant, who had been in a wheelchair since birth, arrived for the photo session with a ball at his feet, astonishing us with his dribbling skills, a remnant of his past as a wheelchair basketball player, creating a portrait built on his abilities. Another participant, with a life broken in two like his spine after an accident, calmly wanted to be represented by one of his works, which plastically depicted that very fracture. Without a trace of self-pity or regret, he wanted to highlight his current sunny disposition, pairing his drawings and portraits with that fracture.

In the work we completed, we found many emotions and a fullness of content and inspiration. We are not sure if, with our “skills,” we managed to represent through photography the worlds each participant allowed us to approach, but we certainly hope so. We are not sure if we were able to convey to the participants the skills to see photography as a tool for communication and emotional exchange. However, we had the sense that, little by little, the work on the self-portrait became an opportunity for participants to rediscover themselves, reassess their abilities, and enhance their personalities.

For us, it was certainly a meaningful experience, one of learning and exchange between different abilities. Our intention to introduce and bring people closer to photography came back to us as life lessons that enriched us, rewarding expectations we hadn’t even had.