Capobranco
WJ #143“Tu prova ad avere un mondo nel cuore. E non riesci ad esprimerlo con le parole”
Fabrizio De André
Capobranco. Una storia di abnegazione
Addomesticato a proprio uso, consumo, sevizio e diletto, capita che il così detto miglior amico dell’uomo viene rispedito al mittente, nel migliore dei casi un canile, nel peggiore la strada, spesso per mancanza di tempo, risorse o per opportunità, spazi, condizioni che cambiano ma anche per aspettative disattese dall’animale sia esso di compagnia o di servizio. Si stima che ogni anno in Italia siano abbandonati una media di 50.000 cani. La gestione del randagismo è sistema costellato di rifugi sovraffollati e affidati a risorse limitate, scarsa attenzione delle autorità locali ma anche la mancanza di una cultura di cura e protezione degli animali, a cui in parte sopperiscono la dedizione e l’impegno delle diverse associazioni di volontariato. Fuori dai canili, 8 cani su 10 non sopravvivono a freddo, fame, malattie e pericoli della strada, inclusi i bocconi al veleno, lezione degli antichi cacciatori, cocktail letali di ingredienti facilmente reperibili in commercio mescolati a carne, lardo o altre profumate trappole. Fuori dalle istituzioni o anche fuori dall’associazionismo più organizzato si scorge una risposta diversa, inosservata e forse incompresa: un abbandono del se, o un’altra meno comune forma di amore.
Questa è la storia nascosta di una vita di abnegazione e dedizione di Salvatore, come lo chiameremo, un uomo di 70 anni che da 30 ha fatto dei cani randagi la sua famiglia di fatto, offrendo un servizio, nascosto e senza referenze, alla sua cittadina di porto nel nord della Sardegna. Per buona parte della sua vita la sua storia rispecchia quella di molti altri. Iniziò a prendersi cura dei cani randagi della zona, creando per loro uno spazio, un rifugio in una pineta del paese fronte mare, fino a diventare un ufficioso sportello di accoglienza alternativo alla strada, zerbino delle coscienze di chi, pur sbarazzandosi del cane, lo sapeva affidato alla coscienza di qualcun altro. Il suo branco arrivò ad accogliere più di un centinaio di cani, fino a che una vita con una casa e una famiglia comuni non furono più conciliabili con la sua dedizione.
Dovendo assistere a ripetuti avvelenamenti, incidenti e altri epiloghi atroci, a Salvatore non rimase altro se non rifugiarsi con il suo branco, fuori dagli sguardi e dalle responsabilità della cittadinanza, abitando i capannoni svuotati dal fallimento del grande sogno industriale. Dal suo trasferimento sono passati ormai più di 10 anni, quanti sono gli anni del più giovane dei suoi cani con cui Salvatore è invecchiato imparando nuovi mestieri e capacità, per dedizione e per necessità, amministrando la sua pensione come principale e unica fonte di finanziamento, accompagnata da occasionali donazioni di cibo.
La dedizione porta intrinsecamente un sacrificio, aspirazione di molti ma scelta di pochi. Salvatore rientra in quei pochi, scegliendo di abbandonare il suo ego per il bene del suo branco, oggi composto da poco meno di 30 cani. Una scelta che continua a compiere ogni giorno e, come un capitano per la sua nave, Salvatore racconta che non verrà meno alla sua missione almeno fino a quando anche l’ultimo membro della famiglia che ha scelto per sé non lo lascerà.