Bologna rurale
WJ #91Sostenibilità ambientale e lavoro contadino rappresentano il binomio che fa da comune denominatore alle esperienze relative alle coltivazioni ortive sparse per l’area metropolitana di Bologna
Quello degli orti urbani è un fenomeno che interessa la provincia del capoluogo emiliano da oltre trent’anni, nato come spazio di aggregazione per le fasce di popolazione più anziane e allargatosi, col tempo, ad una pluralità di attori sociali, individui, associazioni, cooperative. Gli spazi verdi coltivabili rappresentano la potenziale ricchezza di una città che decide di non rinunciare all’equità e alle responsabilità nei confronti del territorio, sfuggendo alle derive dell’individualismo metropolitano e proponendo percorsi alternativi di economia solidale.
Questi sentieri si districano tra gli spazi di un panorama urbano ad essi nettamente antitetico: tra strade asfaltate, cemento, uffici, scuole e negozi, sorgono piccoli e grandi appezzamenti in cui persistono gli odori della terra e la materialità del fango. A dominare, qui, è la pastosità di un suolo bagnato dal sudore di chi imbraccia zappe e rastrelli. Sono giovani e anziani, italiani e stranieri, i contadini che salvaguardano la fertilità di questi terreni; figure spesso anonime che si stagliano su scenografie rurali in cui a dominare è la rigogliosità delle coltivazioni. A chi osserva dall’esterno, risaltano all’occhio non tanto i volti, quanto piuttosto le mani di chi lavora e tiene in vita queste realtà rurali nel cuore della città, mani che impugnano falci, vanghe, annaffiatoi e irrigatori, o più semplicemente un bicchiere d’acqua durante gli attimi di riposo.
Questi luoghi non rappresentano, però, solo dei piccoli angoli di semina in cui poter godere degli odori della terra pur restando in città. Le coltivazioni ortive metropolitane costituiscono un modello di sviluppo alternativo tanto alla produzione di massa quanto al consumo individualistico. Senza per forza chiamare in causa la dialettica della decrescita, l’agricoltura biologica rappresenta il tassello di un mosaico composto da tutte quelle realtà fatte di start up e cooperative che tracciano il profilo identitario di una città che sa offrire prospettive turistiche ecosostenibili e solidali con la terra e le comunità che la abitano.
Lo sviluppo locale su piccola scala è testimonianza di un’etica del lavoro agricolo che fa fruttare senza sfruttare, e che impara a conoscere la terra e i suoi cicli produttivi senza abusarne. È un atto di responsabilità nei confronti della natura quello di pazientare accettando di restare soggetti alle sue imprevedibilità senza espedienti artificiosi che possano compromettere il naturale corso delle sue fioriture. Il modello marcatamente relazionale che anima il lavoro contadino nelle realtà rurali bolognesi; non solo relazioni con la terra, ma anche tra i membri delle comunità, delle cooperative o, più semplicemente, di coloro che, da esterni, decidono di confrontarsi con questo tipo di fenomeno.
Semina, crescita e raccolto sono parte di una filiera produttiva che diviene metafora di qualcosa che va oltre il lavoro della terra. Il mutuo apprendimento, lo scambio del sapere, la pazienza e la dedizione che sono parte integrante della valorizzazione della terra possono spronare ad assumere un impegno di responsabilità nei confronti di ciò che ci cresce attorno, pur nella frenesia e nel trambusto dello spazio urbano.
Le foto sono state realizzate durante il Workshop di fotografia sociale tenuto da Giulio Di Meo in collaborazione con IT.A.CA’ migranti e viaggiatori: Festival del Turismo responsabile e Witness Journal.