Aspettando “El Diablo”
WJ #111A Tapachula, città messicana situata sul confine meridionale con il Guatemala, si pagano gli effetti delle politiche migratorie a livello mondiale: le leggi ‘restrizioniste’ di Trump, le deportazioni del governo Messicano, ma anche la chiusura della fortezza Europa che costringe i migranti africani a cercare nuove rotte attraverso l’America Latina. Il risultato è che a Tapachula i rifugiati di tutto il mondo si trovano bloccati in un vuoto burocratico che li costringe a vivere in spazi sovraffollati, con condizioni igieniche disumane, sfruttati nelle imprese locali e monitorati da soldati e forze dell’ordine. L’esercito gli impedisce di lasciare la città, la borghesia locale specula sul prezzo degli affitti e i media locali alimentano la xenofobia annunciando l’arrivo della carovana migrante denominata “Il Diavolo”. Si parla di 60.000 migranti e infiltrati delle bande criminali in arrivo dal Salvador.
In attesa dell’arrivo del “Diavolo”, abbiamo cercato le tracce delle migrazioni passate. Tapachula è una città multiculturale che già a partire dal 1800 ha iniziato ad accogliere proprietari terrieri tedeschi, operai cinesi, esuli libanesi e migranti giapponesi e spagnoli. Il ristorante Long Ying, gestito da una famiglia cantonese trasferitasi a Tapachula da quattro generazioni è diventato un simbolo storico e culturale della città. Mamma Africa, invece, è una signora messicana che gestisce un ristorante dove prepara piatti tipici africani o asiatici a un prezzo popolare, per accontentare i palati e le tasche dei migranti che arrivano da altri continenti.
Oggi il centro storico della città è diventato un centro di accoglienza a cielo aperto dove i migranti passano le loro giornate e dove gli abitanti di Tapachula possono contrattare lavoratrici domestiche indigene del Guatemala o pagare per prestazioni sessuali a basso costo. C’è chi vende cibi e bevande, chi si offre per fare le “cornrows”, le tipiche trecce africane, e chi si è attrezzato con una macchina da scrivere per redigere documenti.
Molti rimangono bloccati qui a Tapachula per mesi, alimentando la tensione e gli stereotipi: quelli più discriminati sono i centroamericani che vengono considerati delinquenti delle maras, mendicanti e ubriaconi. La maggioranza delle sex worker che lavorano in strada vengono dall’Honduras. Gli haitiani, invece, si inseriscono nel circuito della costruzione e gli africani lavorano al mercato. I cubani sono ben visti, lavorano tanto, sono affascinanti e hanno più disponibilità economica grazie ai soldi che gli mandano i familiari da Miami, diventano quindi manodopera da sfruttare nei locali di Tapachula e tasche da prosciugare tramite gli affitti esorbitanti.
A Tapachula El Diablo non è mai arrivato, ma resta il fatto che migliaia di persone vivono un inferno quotidiano e vedono infrangersi i loro sogni contro un muro di burocrazia, repressione poliziesca e sfruttamento economico.