Anthropos, l’uomo

WJ #99

Il ritratto fotografico come strumento per spiegare il contesto antropologico di un individuo, laddove l’espressione artistica del volto o del corpo parla della propria storia, cultura, religione o del ruolo all’interno della società.

In India e nel sud-est asiatico la pittura corporale e i tatuaggi sono ancora uno strumento che le persone usano per esprimere appartenenze di casta, religione, professione o per descrivere la storia e la cultura dei gruppi a cui appartengono.

Alcuni, come i Konyak, abitanti al confine tra India e Birmania, usano il tatuaggio per mostrare il loro valore di cacciatori. I Konyak attaccavano i villaggi di altre tribù prelevando le teste dei guerrieri rivali caduti come trofei da appendere nel Morong (la casa comunale). Il numero di teste indicava la potenza di un guerriero; come un marchio onorario, un cacciatore Konyak avrebbe ricevuto un tatuaggio sul volto.

Altri, come i Sadhu (asceti induisti), usano il loro corpo come strumento artistico a fini religiosi, interpretandolo come un tempio che, una volta decorato, è più adatto all’ingresso del divino. I disegni sulla fronte mostrano l’affiliazione religiosa e la setta d’appartenenza e variano da macchie di colori a complessi design che prendono l’intero volto.

I mercanti di cammelli del Rajasthan non usano espressioni artistiche invasive come pitture o tatuaggi. Come fiera rappresentazione della propria cultura un pastore Rabadi mostra sempre con orgoglio tre segni caratteristici: il baffo lungo, folto e curato, segno di forza e fierezza; il paggar ossia il turbante, che può variare nella grandezza e nello stile; gli orecchini d’oro a entrambi i lobi come segno di ricchezza e di status sociale elevato.

Per i Mentawai, tribù che abita l’isola di Siberut in Indonesia, la giungla è sempre stato un luogo in cui tutto, dalle piante alle rocce fino agli animali e all’uomo, ha uno spirito. Essi tatuano sul loro corpo la giungla perché, dicono, i tatuaggi li proteggono dagli spiriti maligni in agguato nella foresta e permetteranno ai loro antenati di riconoscerli dopo la morte.

Tatuarsi può anche significare protestare. È il caso dei Ramnami, un piccolo gruppo di “intoccabili” (la più bassa delle caste indiane) che vivono nelle campagne del Chhattisgarh in India centrale.

Oppressi dal sistema delle caste, decisero di dedicare tutta la loro vita al loro dio, Rama, e di esprimere la loro devozione cantando e tatuandosi il suo nome su tutto il corpo.

Il reportage

Scheda autore

Matteo Marrone

[:it][:it][:it][:it]Matteo Marrone nasce a Ortona (CH) il 25 ottobre 1985, inizia i suoi studi nel turismo ma dopo poco unisce la passione per i viaggi alla fotografia grazie alla collaborazione con fotografi locali. Principalmente concentrato su ritratti e street photography negli anni il suo interesse per i reportage cresce spingendolo a viaggiare dalle tribù sud-asiatiche fino agli sciamani del Tibet dove colleziona un lavoro antropologico su usanze e tradizioni in via di estinzione.[:][:][:][:]

Fotocamera: Nikon D600
Obiettivo: 24-85mm

English version

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Anthropos

 

Photographs by Matteo Marrone

Story edited by Matteo Marrone and Stefano Pontiggia

 

The photographic portrait as a tool to explain the anthropological context of an individual, where the artistic expression of the face or body speaks of its history, culture, religion or role within society

 

In India and Southeast Asia, body painting and tattoos are still a tool that people use to express caste memberships, religion, profession or to describe the history and culture of the groups they belong to. Some, like the Konyaks, inhabitants on the border between India and Burma, use the tattoo to show their value as hunters. The Konyaks attacked the villages of other tribes by taking the heads of rival warriors fallen as trophies to hang in Morong (the municipal house). The number of heads indicated the power of a warrior; as an honorary mark, a Konyak hunter would have received a tattoo on his face.

 

Others, like the Sadhu (Hindu ascetics), use their body as an artistic instrument for religious purposes, interpreting it as a temple that, once decorated, is more suitable for the entrance of the divine. The drawings on the front show religious affiliation and the sect of belonging and vary from color spots to complex designs that take the whole face.

 

Rajasthan camel traders do not use invasive artistic expressions such as paintings or tattoos. As a fair representation of one’s culture, a Rabadi shepherd always proudly shows three characteristic signs: the long, thick and well-groomed mustache, a sign of strength and pride; the paggar or turban, which can vary in size and style; the golden earrings on both lobes as a sign of wealth and high social status.

 

For the Mentawai, a tribe inhabiting the island of Siberut in Indonesia, the jungle has always been a place where everything from plants to rocks to animals and humans has a spirit. They tattoo the jungle on their body because, they say, tattoos protect them from evil spirits lurking in the forest and allow their ancestors to recognize them after death.

 

Tattooing can also mean protesting. This is the case of the Ramnami, a small group of “untouchables” (the lowest caste in India) living in the countryside of Chhattisgarh in central India. Oppressed by the caste system, they decided to devote their whole life to their god, Rama, and to express their devotion by singing and tattooing his name all over his body.[:][:][:][:]