Anima Randagia

WJ #102

Difficile parlare di adozione collettiva, ma di certo nelle aree più remote della valle di Kathmandu la convivenza uomo-cane è quanto di più vicino ci sia.

Si chiamava Gyani Deula ed era soprannominata la madre dei randagi di Kathmandu. La sua storia ha fatto il giro del mondo a seguito del terremoto che nel 2015 ha devastato il Nepal causando la morte di oltre novemila persone. Lei, senzatetto, trovava riparo nei pressi di un tempio dedicato a Ganesh a Kamaladi, un quartiere della capitale, e dal 2009 ha iniziato a radunare attorno a sé i tanti randagi che vivevano per strada sfamandoli e abbeverandoli. Gyani Deula è morta a 56 anni, nel 2015, ma da tutti viene ricordata come l’angelo custode di quegli animali che hanno fatto della strada la propria dimora. Non è un caso che la sua storia sia rimasta nell’immaginario comune.

In Nepal il fenomeno del randagismo è endemico. Basta una mezza giornata a Kathmandu, Bhaktapur o Patan e il fenomeno si palesa in tutta la sua chiarezza. Ci sono cani ovunque. Molti razzolano di casa in casa, di negozio in negozio per cercare cibo e acqua. Alcuni vengono scacciati, altri vengono accolti dalla collettività che si prende cura di loro. I randagi per definizione non hanno un padrone e quindi si affidano al buon cuore degli abitanti o agli scarti che si trovano per strada. Li si può trovare adagiati davanti alle porte dei musei o all’entrata delle classi elementari oppure all’interno delle sale consiliari durante le riunioni degli anziani dei villaggi. Non è raro vederli anche sornioni vicino a gruppi di scimmie con cui condividono spesso il territorio, soprattutto nell’area sacra di Swayambhunath.

Non c’è città o villaggio che non abbia un gruppo di randagi. Tra l’altro, a seguito del terremoto, il numero dei cani da strada è aumentato, sfiorando le 20 mila unità solo a Kathmandu. Per questo motivo sono intervenute Ong veterinarie per prendersi cura di loro e cercare di limitare il diffondersi delle malattie sia tra la popolazione animale che umana. Il cane vagabondo viene tollerato e addirittura celebrato nei giorni festivi del Kukur Tihar, a novembre. La ricorrenza dura cinque giorni e il secondo di questi è dedicato proprio alla fedeltà dei cani che vengono adornati con collane di fiori.

In Nepal si vive di sincretismi. Alcune divinità vengono associate agli animali prendendone la forma e le qualità. Così avviene, per certi versi, anche con i cani che diventano parte integrante della comunità. Difficile parlare di adozione collettiva, ma di certo nelle aree più remote della valle di Kathmandu la convivenza uomo-cane è quanto di più vicino ci sia.

Il reportage

Scheda autore

Alessio Chiodi

Nato a Fabriano nel 1987, dopo gli studi in Storia all’università di Siena, nel 2014 decide di dedicarsi al giornalismo seguendo un master di due anni alla Walter Tobagi di Milano. Ha avuto alcune esperienze di stage al Corriere di Bologna e La Presse e dal 2016 lavora per AboutPharma. E’ giornalista professionista dal 2017 e dal settembre dello stesso anno fa parte della redazione di Witness Journal. Si avvicina alla fotografia nel 2015 cercando sempre di unire nei suoi lavori la componente testuale a quella visiva.

Fotocamera: Sony Alpha 6000
Obiettivo: Sony 16-50mm

English version

Stray soul

 

Photography and story by Alessio Chiodi

 

It’s hard talking about collective adoption, but certainly in the most remote areas of the Kathmandu valley the man-dog cohabitation is the closest thing there is

 

Just half a day in Kathmandu, Bhaktapur or Patan and the phenomenon is revealed in all its clarity. There are dogs everywhere. You can find them lying in front of the doors of the museums or at the entrance of the elementary classes or inside the boardrooms during the meetings of the elders of the villages. In Nepal we live by syncretism. Some deities are associated with animals taking their form and qualities. This happens, in some ways, even with dogs that become an integral part of the community.