Abruzzo (solitario) in cerca d’autore
WJ #145Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti. Ma non è facile starci tranquillo.
(Cesare Pavese)
Tanti partono, lasciando la propria casa; pochi tornano, per rimanere. Qualcuno arriva, si ferma per un breve periodo di tempo e poi riparte. Tra i primi, i giovani, ma anche le coppie, che si sentono costretti a lasciare la propria terra natale, l’Abruzzo; tra i secondi, alcune famiglie, che non accettano di vedere il tessuto sociale del proprio paesino d’infanzia sgretolarsi pian piano, come anche alcune delle persone anziane che l’emigrazione l’hanno conosciuta nei decenni passati. Gli ultimi sono i turisti, o coloro che si rifugiano nella pace e nella natura di quei territori durante l’estate e le festività.
L’Abruzzo, specie con i suoi territori interni e montani talvolta con 500 abitanti appena se non meno, ha iniziato a conoscere il fenomeno dello spopolamento nella prima metà nel Novecento, con la dorsale appenninica via via sempre più soggetta a uno scivolamento a valle dei suoi abitanti, rassegnati dalla perdita dei servizi essenziali per la vita di tutti i giorni. Da allora, tante famiglie hanno lasciato casa per cercare fortuna in altre parti d’Italia e non solo: non sono poche quelle che si sono stabilite e ampliate in Svizzera, salvo poi tornare sui propri passi con l’anzianità. È capitato a Elvira; è capitato ad Alfio. Entrambi sono tornati a Colledimezzo, in provincia di Chieti, riprendendo quelle stesse tradizioni che avevano lasciato e tornando alle proprie origini fatte di agricoltura e di allevamento. Un’essenzialità che, in assenza di servizi necessari – dalle scuole a posti di lavoro stabili – stenta a trattenere le nuove generazioni e porta a un’età media assai elevata (stando alle tendenze attuali le persone con almeno 80 anni sono destinate ad aumentare del 30%, passando dalle circa 104 mila calcolate dalle ultime rilevazioni Istat disponibili alle 135 mila).
Eppure, qualcuno va in controtendenza, tornando in paesini come Colledimezzo, Bomba, Roio Del Sangro, e accettando le decine e decine di chilometri in macchina per raggiungere il posto di lavoro o la scuola più vicina. Dunque, è tra queste crepe che riesce a filtrare la luce di una soluzione possibile per invertire una tendenza dimostrata anche dai numeri.
Negli ultimi anni, tra il 2015 e il 2022, la popolazione dell’Abruzzo è già diminuita del 3,8%, passando da 1,32 a 1,28 milioni, ma lo spopolamento potrebbe avere proporzioni ancora maggiori nei prossimi vent’anni circa. Secondo i dati Istat e le conseguenti previsioni da qui al 2042, lo spopolamento dell’Abruzzo potrebbe aggirarsi su valori quasi doppi rispetto a quelli del resto del Paese: se per l’Italia intera (che attualmente ha circa 59 milioni di residenti) il calo potrebbe arrivare al 4,9%, nel solo Abruzzo il segno meno potrebbe toccare addirittura l’8,6%; e questi non sono che scenari mediani. Tuttavia, per le aree interne e montane della regione le cose potrebbero andare anche peggio, con alcuni Comuni a doversi confrontare con cali in doppia cifra, come nel caso di Sulmona, le cui previsioni parlano di una perdita di un abitante su quattro (-25,4%).
Tutto questo ha già e avrà dunque ancor di più nei prossimi anni un forte impatto sui servizi da garantire e, a monte, sulle politiche pubbliche e sociali del Paese e locali. Il fenomeno non è di certo un unicum dell’Abruzzo e le possibilità di invertire la tendenza ci sono: a dimostrarlo, anche alcuni esempi di resilienza e di adattamento del territorio. Il Gran Sasso Science Institute, per esempio, ha messo in evidenza alcuni degli elementi decisivi nell’adattabilità di un territorio: capacità di cogliere le opportunità della terziarizzazione dell’economia, occupazione femminile elevata, istruzione, che non è altro che futuro per i giovani.