di Manuel Beinat
“Sclavanie” di Davide Degano si presenta come un’analisi etnografica della slavia friulana: una realtà complessa, minuziosamente suddivisa in borghi e piccoli paesi che ritrovano paradossalmente la propria unità nella diversità etnica e culturale, inserita principalmente tra le montagne e le valli del Friuli Venezia-Giulia a confine con la Slovenia.
Il gruppo territoriale udinese di Witness Journal ha avuto il piacere di incontrare Davide, di parlare di “Sclavanie”, e di conoscere meglio una piccola fetta di territorio sconosciuta ai più.
Il progetto è recentemente diventato un libro: le fotografie hanno preso vita su una carta ruvida e grezza, che si sposa perfettamente con i volti segnati dal tempo e dalla vita rurale degli abitanti di quelle zone remote.
Il racconto visivo pone il lettore di fronte a diversi interrogativi riguardo le strutture tradizionali e culturali di questi villaggi, che rischiano costantemente di essere fagocitate da un mondo industriale e globalizzato da circa 70 anni a questa parte.
Emerge a gran voce la necessità di preservare questi luoghi e i loro abitanti, che quasi anarchicamente hanno deciso di rimanere. Non è mancata tuttavia l’emigrazione dai borghi, fenomeno che (soprattutto in passato, di seguito al boom economico e al terremoto del 1976 che ha devastato il Friuli) ha anticipato più volte l’estinzione di usi e costumi dal valore culturale inestimabile.
Le immagini vertono sulla valorizzazione delle differenze, intese non come elemento di divisione, ma come punto di forza di una serie di microcosmi che comunicano tramite lingue fluide (il libro stesso parla in italiano, inglese, sloveno e friulano), che sopravvivono proprio grazie a coloro che non si sono riversati sulle pianure o nelle città.
Lo sguardo che Degano volge a queste terre ritrova le sue radici in un passato mai nostalgico, costantemente riletto in chiave contemporanea, che possa fungere da esempio per un futuro meno sconnesso con la comunità e con la natura. La pandemia da COVID-19 ci ha costretti a riesaminare e rileggere il modo in cui viviamo e il mondo in cui siamo inseriti. Il virus ha inasprito tutto ciò che già prima era strutturalmente precario, e i disagi sociali e le faide culturali non hanno fatto fatica a riemergere. I posti narrati dalle fotografie di Degano ci ricordano che un altro stile di vita esiste, un’alternativa c’è. I mondi di “Sclavanie” fungono da esempio concreto di un’aggregazione comunitaria sostenibile da un punto di vista sociale, umano e ambientale.
È importante ricordare che questo fenomeno etnografico si presenta ovunque: il Friuli ne è un valido portavoce per il fatto che è sempre stata una regione spezzata e ricomposta dalla burocrazia, ma unita da una forte identità culturale, che trova il suo collante nel fattore umano e comunitario. È proprio per il carattere globale che questo fenomeno possiede che il Friuli dovrebbe essere preso come esempio per ritrovare un nuovo stile di vita, a prescindere o meno che si tratti di un’utopia.