Di redazione Wj / foto di Nicola Zolin
E gli italiani improvvisamente si riscoprono vittime di blocchi alle frontiere a causa del Covid-19 (malattia da nuovo coronavirus), quando per tanto, troppo tempo, si è discusso sull’accoglienza a chi scappa davvero dalla fame, dalle carneficine e dalla guerra. Ma l’Italia, in quanto membro dell’Ue, si è comunque resa responsabile della “terziarizzazione” del fenomeno migratorio così da non doversene più occupare (o almeno occuparsene limitatamente).
Nel 2016 l’Ue e la Turchia sono scesi a patti per sei miliardi di euro. Il contratto sottoscritto tra Bruxelles e Ankara, impegnava la Turchia a controllare i propri confini e contenere le pressioni migratorie provenienti da Siria e Iraq. Oggi quell’accordo sembra saltato e il nuovo sultano Recep Tayyip Erdoğan minaccia l’Europa. In tutto questo gioco di potere a farne le spese sono circa 135 mila profughi accampati alla frontiera greca. Il fotogiornalista Nicola Zolin si trova al confine greco e sta documentando quanto avviene.
L’Europa non li vuole
Il cuore del problema è Idlib, città della Siria nord-occidentale, situata vicino al confine con la Turchia. L’offensiva che lo scorso anno ha portato Ankara a conquistare ampie fette di territorio siriano ha scatenato una nuova e gravissima crisi umanitaria amplificando sempre di più l’instabilità dell’area. Al momento regge un minimo accordo Mosca-Ankara per un cessate il fuoco (e la decisione di istituire una buffer zone profonda 6 km lungo l’autostrada M4, che sarà controllata in maniera congiunta), tuttavia l’ondata migratoria non sembra arrestarsi. L’Europa nicchia e la Grecia si è blindata con le sue forze armate. Dall’altra parte, come in una manovra a tenaglia ci sono altri contingenti, quelli turchi, pronti a sorvegliare che i flussi migratori confluiscano verso i confini dell’Ue. C’è di più. I Greci hanno utilizzato i lacrimogeni per respingere i profughi e da Atene arrivano accuse alla Turchia di agevolare l’esodo in Ue. La situazione è al limite e si evolve di continuo. Gli scontri non si arrestano.
Questione di soldi
La Turchia entra in guerra in Siria, aumentano il numero di profughi, Ankara lamenta il rincaro di “responsabilità” sui controlli e chiede più soldi. L’Ue non accetta, Erdoğan apre le porte e sfrutta i migranti per fare pressione politica. Una strategia che rientra perfettamente nella politica di rafforzamento che il nuovo sultano sta portando avanti in tutto il Medioriente e Mediterraneo orientale (è sempre in auge la questione Cipro nord).