Raccontare Palermo

Ad una manciata di chilometri di distanza, alla Fiera del Mediterraneo di Palermo, arrivò una telefonata. “È successo qualcosa di grosso, non si sa bene cosa, ma è qualcosa di grosso. Franco devi andare”. Oltre a quelli degli agenti della scientifica accorsi sul posto, gli occhi – e l’obiettivo – di Franco Lannino furono i primi ad osservare quella che lui stesso non esiterà a definire “una scena di guerra”.

CASERME ROSSE | VISIONI PERIFERICHE

SENAPE VIVAIO URBANO | PALAERMO FA 90

FOTO DI DANILO GARCIA DI MEO
TESTO DI CRISTIANO CAPUANO

Il 23 maggio ricorre l’anniversario della strage di Capaci, trasversalmente riconosciuta come una delle più buie notti della nostra Repubblica, in cui persero la vita il magistrato Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta Montinari, Dicillo e Schifani.

Intorno alle 6 del pomeriggio di un’uggiosa giornata di fine maggio, sull’Autostrada A29 allo svincolo di Capaci si consumava il drammatico evento. La deflagrazione di un intero tratto autostradale provocò, oltre ai 5 morti, il ferimento di altre 23 persone, esacerbando quel clima di terrore mafioso che avrebbe caratterizzato l’Italia del biennio 1992-1993.

Ad una manciata di chilometri di distanza, alla Fiera del Mediterraneo di Palermo, arrivò una telefonata. “È successo qualcosa di grosso, non si sa bene cosa, ma è qualcosa di grosso. Franco devi andare”. Oltre a quelli degli agenti della scientifica accorsi sul posto, gli occhi – e l’obiettivo – di Franco Lannino furono i primi ad osservare quella che lui stesso non esiterà a definire “una scena di guerra”.

Sono passati 26 anni, e la memoria di Capaci e di tutta quella tragica stagione dinamitarda di certo non si è affievolito, subendo piuttosto un processo di cristallizzazione che ha contribuito a tenerlo sì vivo ma, forse, abbastanza distante da affrontarlo con sufficienza. Vero è che lo stragismo è, ormai, acqua passata, ed è pur vero che Falcone, Borsellino e tanti altri erano uomini di Stato il cui ricordo era naturale venisse fagocitato da discorsi e narrazioni istituzionali, ma Franco – a un quarto di secolo di distanza – non può fare a meno di constatare che “questo 23 maggio è diventato un teatrino”.

Il 23 maggio 2018 è il primo che Franco Lannino trascorre lontano da Palermo. Da oltre trent’anni, il suo nome è inestricabilmente legato alla fotografia siciliana e nazionale, grazie soprattutto al proficuo lavoro svolto dalla storica agenzia Studio Camera (da lui fondata con Michele Naccari), punto di riferimento nel panorama fotogiornalistico palermitano.

Oggi, Franco ha deciso di raccontare la realtà della Palermo degli anni ’90 lontano da casa, portando a Bologna le storie personalmente vissute di una stagione tanto drammatica quanto emozionante.
Tramite Witness Journal, il 23 e il 24 maggio abbiamo avuto il piacere di ascoltare ed ammirare queste storie tramite la voce di Franco e la bellezza delle sue immagini in due mostre allestite in diverse zone della città.

Il 23 maggio, l’incontro “Periferie. L’informazione come barriera contro le mafie” ha visto la partecipazione, tra gli altri, degli alunni dell’Istituto Comprensivo 15 di Bologna. La necessità di partire dalla consapevolezza dei più giovani è fondamentale per promuovere una coscienza critica della società civile che sia ben edotta sull’importanza del fare informazione in maniera etica. Franco Lannino si è, in questo frangente, confrontato con studenti di una quinta elementare e di una terza media, esprimendo soddisfazione per il coinvolgimento manifestato dai ragazzi, i quali hanno avuto l’opportunità di conoscere chi quei tragici istanti li ha vissuti e, dunque, di provare l’emozione di un ricordo diretto che non scadesse nell’idolatria retorica delle commemorazioni istituzionali.

Presso gli spazi del circolo Arci Caserme Rosse di Corticella, la mostra Visioni Periferiche è aperta al pubblico gratuitamente fino al 30 giugno. Franco Lannino ha scattato la serie di fotografie che la compongono dal 1989 al 1994 in diverse zone marginali della città di Palermo. Si tratta di scatti che raccontano la quotidianità di periferie che – stando alle parole di Franco – in massima parte non sono assolutamente mutate in questi anni. L’autore ci racconta con spensieratezza una certa attitudine schizofrenica della sua città: “Palermo non è una città normale. Si tratta di un luogo capace di enormi slanci in avanti, tanto quanto di regressivi passi indietro”.

Le foto di Visioni Periferiche raccontano con occhio attento questo eterno dualismo tutto mediterraneo.
“Non è facile raccontare Palermo attraverso l’obiettivo. Io l’ho fatto, ed oggi sono quarant’anni che ne metto in evidenza in maniera imparziale pregi e difetti. Facile raccontare le bellezze naturali ed architettoniche. Difficile, molto più difficile, raccontare quello che è il disagio di chi a Palermo ci vive”.

Il lavoro di Franco più direttamente legato alla cronaca nera degli anni ’90 palermitani è invece esposto presso gli spazi di Senape Vivaio Urbano in via Santa Croce. Palermo fa 90 è il titolo di una serie di scatti realizzati durante la sanguinosa stagione degli omicidi di mafia. Dalle storiche immagini di Capaci, passando per quelle di svariate altre scene del crimine, fino ai ritratti in tribunale di figure di spicco di Cosa Nostra quali Riina, Greco, Bagarella, le foto di Lannino hanno il potere evocativo di farci rivivere alcuni dei momenti salienti delle ritorsioni contro la lotta alla mafia condotta dallo Stato italiano in quegli anni difficili.

La mostra – visitabile gratuitamente fino al 7 giugno – è stata inaugurata dall’incontro “Raccontare le mafie. Come cambiano i linguaggi dell’informazione” con l’autore e Giuseppe Baldessarro, giornalista da sempre impegnato nel raccontare le dinamiche di potere della ‘ndrangheta e delle altre organizzazioni criminali del nostro paese.

Chiacchierare di fotografia, informazione e legalità con Franco ha significato in qualche modo ribadire la necessità di non fare del ricordo di eventi così significativi un “teatrino”, come lui stesso lo ha definito, servendosi delle immagini per tenere a mente come, nelle dinamiche di potere, il passato non passi mai, e le ombre su molte delle nostre storie collettive si diradino con estrema difficoltà.

“Arrivando sul posto, appena con un colpo d’occhio, mi sono reso conto della gravità della situazione. (…) Il Capitano dei carabinieri mi passò davanti, mi tagliò la strada e più che la borsa notai quello strano giubbino che indossava e che in gergo si chiama “fraticello”. (…) Lì mi ricordo vagamente di avergli fatto questo scatto. (…) Tant’è vero che quella foto la ritrovai dopo circa 12-13 anni. Guardandola attentamene mi sono accorto che in effetti aveva in mano una borsa, quella del magistrato come hanno appurato successivamente gli investigatori. Poi i processi si sono conclusi, tra l’altro con la sua assoluzione. Il mistero rimane…”