Progetto “Contatto”, intervista agli autori

Il 30 agosto 2019 ha debuttato il progetto fotografico giovanile “Contatto-Fanzine” realizzato da un gruppo di quattro ragazzi sardi

Progetto "Contatto", intervista agli autori

Di Alice Strazzeri / foto di Alessio Cabras, Chiara Caredda,
Andrea Fenu, Simone Maffa, Claudio Valenti,
Nicola Pittau

Lo scorso 30 agosto 2019 ha debuttato il progetto fotografico giovanile “Contatto-Fanzine” realizzato da un gruppo di quattro ragazzi sardi (Andrea Fenu, Gianmarco Pia, Simone Maffa e Claudio Valenti) e al cui interno hanno partecipato nove fotografi: Alessio Cabras, Chiara Caredda, manirosse, Nicola Pittau, PRNART, sumundupau e gli stessi Andrea Fenu, Simone Maffa e Claudio Valenti. Gli organizzatori hanno invitato i fotografi partecipanti a riflettere attorno al tema del rumore. I lavori fotografici sono stati poi scomposti e ricomposti, sommando al ragionamento individuale un dialogo tra gli esiti visivi di ciascuno, da ciò è nata la fanzine “Contatto_Rumore”. La fanzine esiste solo in formato cartaceo perché uno degli obiettivi del progetto è quello di ridare importanza al fisico e non lasciare che il digitale sia l’unico mezzo espressivo sia per la fotografia che, in generale, per le arti figurative.

Quale è stato il vostro approccio alla fotografia?

ANDREA: Mio nonno era fotografo, era matrimonialista poi ha iniziato con la grafica in Germania, lavorando come grafico in aziende tedesche. Siamo negli anni ’50-’60. In Germania ha conosciuto mia nonna e sono nati mia madre e mio zio. Successivamente son tornati in Sardegna e qui mio nonno ha continuato la sua attività aprendo lo studio di fotografia ad Iglesias (CI). In seguito alla morte del padre, mio zio ha portato avanti l’attività. E’ stato mio zio che, sin da quando ero bambino, mi ha messo la fotocamera in mano e così mi sono appassionato. Ho provato vari generi. Da ragazzino mi interessava la moda, poi mi sono evoluto verso altri interessi che sono quelli attuali in cui ho fatto convergere “Contatto”.

SIMONE: Mio padre è un fotoamatore, non è un professionista, il suo lavoro è un altro ma ha avuto sempre la passione per la fotografia e quando io avevo quattordici-quindici anni, mi ha messo una macchina fotografica tra le mani. La fotografia per me è arrivata in modo alquanto inaspettato, mi è capitata, non l’ho scelta, ho continuato a lavorarci però non è diciamo il mio mezzo prediletto. Non ho mai fatto dei corsi di fotografia, tutto quello che so l’ho imparato da mio padre, invece ho fatto dei corsi relativi al video. Adesso sto finendo un tirocinio in uno studio di fotografia di Cagliari. Lo studio fa sia pubblicità che matrimoni.

CLAUDIO: Io mi sono approciato alla fotografia in modo molto casuale. Ho iniziato a scattare con macchine di altre persone, poi ho deciso di comprarmela. Poco dopo mi è capitato di lavorarci soprattutto per le serate musicali. Ho lavorato in discoteca, in club, per concerti. Gran parte della mia formazione fotografica deriva da questo. E’ stata una cosa molto casuale, ho iniziato a scattare e poi col tempo ho iniziato a capire cosa mi interessava fotografare. La prima volta che ho preso la macchina fotografica in mano non ho pensato: “Prendo la macchina fotografica in mano perché voglio raccontare questo!”. E’ stato un processo, molto istintivo. I primi scatti credo siano stati identici a quelli di tutte le persone nel mondo che non hanno una spinta. Se tu sei figlio d’arte di un fotografo serio, è più facile che la prima volta che tu fotografi, il motivo per cui tu lo stai facendo è semplicemente perché ti è arrivato un suggerimento: “Perché non provi a fotografare questa cosa?” e lo fai.

ANDREA: C’è anche un altro ragazzo, che ora è in Portogallo, Gianmarco, grafico, formazione da architetto. Gianmarco è l’unico non fotografo, ed è stato mio collega come grafico perché abbiamo lavorato insieme nell’agenzia pubblicitaria a Cagliari. La figura di Gianmarco è molto importante per quanto riguarda “Contatto” perché per noi è di grande rilievo che il discorso di editoria indipendente che stiamo portando avanti, abbia comunque una veste grafica.

Simone Maffa_Sumundupau

Hai fatto qualche corso?

CLAUDIO: Per come la vedo io, tecnicamente, la fotografia è un processo empirico, controlli un po’ la luce… non ci vuole molto ad imparare ad usare una macchina fotografica. E’ anche vero che probabilmente la mia formazione come architetto mi ha aiutato. Ho iniziato a fare fotografia dalle superiori, ma gli studi di architettura hanno condizionato molto il mio modo di fotografare, per composizione, per stile, per quello che mi piace fotografare, mi hanno aiutato a sviluppare un occhio critico. Ho fatto comunque qualche corso di fotografia. Adesso lavoro in uno studio di architettura qui a Cagliari. In passato, con Simone, ho partecipato ad un altro collettivo, “Bedlam Collective” e facevamo lavori su commissione, video e videoclip musicali.

Che strumenti usate per il vostro lavoro?

ANDREA: Fondamentalmente per me, nella fotografia di cui ci occupiamo noi, ogni mezzo è valido, l’importante è conoscerlo, non c’è una grande differenza nell’esito. Scatti eccellenti posso essere ottenuti anche con un telefono. E’ un equivoco che nella fotografia si perpetua tantissimo perché la maggior parte delle pubblicistiche fotografiche si concentrano sui mezzi. Ad un pittore però non chiedi che pennello ha usato, così come ad uno scultore non domandi che scalpello adopera. La qualità della fotografia non si valuta tralasciando l’occhio e la personalità del fotografo.

SIMONE: Diciamo che non è poi tanto una banalità l’idea che non sia il mezzo quanto piuttosto il fotografo a fare una foto. Poi è vero che se devi stampare un cartellone non puoi fare una foto con un cellulare, il mezzo deve essere relazionato al fine. “Contatto” non è un collettivo fotografico nel senso che non è strutturato, inquadrato come formazione. Non vogliamo che sia collegato unicamente a noi quattro, noi ora ci stiamo lavorando ma magari un domani ci saranno altre venti persone in più. L’abbiamo pensato come qualcosa di elastico e malleabile nel tempo. Vorremmo fuggire alla prassi che vediamo spesso applicato alla musica, all’arte, alla fotografia in cui viene data più importanza al nome e al personaggio piuttosto che all’idea e all’operato in sé.

CLAUDIO: L’esperienza del collettivo precedente, “Bedlam”, ci ha fatto sentire l’esigenza di fare qualcosa di nostro, autoprodotto, che non fosse su commissione ma che invece partisse da una nostra idea. Per come si è sviluppata la prima fanzine di “Contatto” questo ha implicato che venissero coinvolti altri fotografi però l’incipit era quello di creare qualcosa di nostro. Abbiamo inoltre pensato che sarebbe stata una bellissima idea quella di realizzare un prodotto cartaceo di fotografie. É una sensazione diversissima vedere una fotografia in un monitor di un pc e aprire un libro di fotografia.

SIMONE: Fondamentalmente quello che ci ha spinto a fare fanzine “Contatto”, è stata la volontà di conciliare il cartaceo e la fotografia. Di base io sono cresciuto leggendo fumetti, a me il cartaceo, poter sfogliare il cartaceo mi è sempre piaciuto. Inoltre, la caratteristica fondamentalmente del nostro elaborato volevamo che fosse un’unità fotografica in cui le foto stessero sempre insieme, in uno stesso contenitore. L’idea che sottosta alla fanzine “Contatto” è che sono fotografie prodotte da diversi fotografi composte e ricomposte dentro ad uno stesso progetto. Nel nostro lavoro riveste una grande importanza l’editing, l’impaginazione, la scelta della sequenza delle foto, se togli quel lavoro una parte dell’opera viene meno.

Nicola Pittau

Ci sono delle foto che entrano le une nelle altre, si gemellano tra di loro

ANDREA: Esatto quello è il tipo di impaginazione che abbiamo scelto. Il tema di questa fanzine era il rumore quindi abbiamo cercato di ricreare con l’impaginazione questa tematica senza però togliere nulla alla foto in sé. Per non avere una foto ogni due pagine abbiamo optato per soluzioni anche più spinte in cui una foto veniva poggiata su un’altra e così si sono creati dei gemellaggi, due foto che si accumulano per significato, per forma, per soggetto. Il gemellaggio non ha comunque prevalso tutto l’editing. Abbiamo scelto la tematica del rumore e l’abbiamo assegnata ai vari fotografi, i loro lavori sono stati poi da noi scomposti e ricomposti in un unico progetto secondo le nostre preferenze. Gli artisti partecipanti sapevano sin dall’inizio che non avrebbero avuto voce in capitolo riguardo all’impaginazione.

Avete fatto un’opera di selezione sui lavori che vi sono arrivati? Qualcosa che magari non vi è piaciuto? Vi sono anche vostri lavori?

SIMONE: No, abbiamo usato tutto il materiale che ci è arrivato. Sì, noi abbiamo partecipato sia come fotografi che come impaginatori. L’editing è opera di noi quattro: io, Andrea, Gianmarco e Claudio.

Qual era l’obiettivo che volevate raggiungere con la fanzine “Contatto”?

CLAUDIO: Volevamo creare un prodotto cartaceo, collaborare con altre persone ed infine metterci in gioco nell’ambito della fotografia provando a fare qualcosa di diverso rispetto a tutto quello che avevamo già fatto.

SIMONE: Portare fuori dal virtuale quello che ci piace, quello che ci muove e che ci ha fatto incontrare, ovvero la passione per la fotografia, per la musica, per la grafica, per l’arte in generale. Non abbiamo un giudizio negativo nei confronti del virtuale però pensiamo che anche l’esperienza fisica sia molto bella. É molto importante che la fanzine sia uscita solo in formato cartaceo. Quello che c’è online è unicamente l’aspetto pubblicitario, per dire che esistiamo, siamo quì, ma se la volete cercateci.

C’è una critica della società?

ANDREA: Si può leggere così, ma non è la nostra esigenza, non vogliamo fare una critica di carattere politico nei confronti della società. Abbiamo un’esigenza che diverge da quello che può essere un trend attuale, il virtuale, non siamo partiti con l’idea di criticare questo meccanismo, semplicemente sentivamo la necessità di andare oltre il digitale che per noi non risultava più sufficente.

CLAUDIO:. Il cardine del discorso è che a noi non bastava più pubblicare le foto su Instagram, su un blog e così via. Allo stesso tempo non ci interessava fare delle mostre individuali, ma invece ci interessava esplorare l’autoproduzione, il mondo delle fanzine, il mondo del cartaceo, sfogliabile, perché è una cosa che a tutti noi quattro è sempre piaciuta. Il supporto secondo noi fa la differenza così come ascoltare la musica su Spotify, su Youtube è diverso dall’avere il prodotto fisico come un cd, una cassetta o il vinile. Abbiamo voluto fare lo stesso discorso con la fotografia, sfogliare un catalogo, una fanzine, non ti può dare le stesse sensazioni che ti da uno schermo. Non deprechiamo il digitale però crediamo che non debba essere preponderante né l’unica via.

SIMONE: Ormai sembra che l’unico modo per far uscire fotografie sia Instagram, non dimentichiamoci degli altri canali. Così come non esiste solo Youtube ma anche il vinile.

Chiara Caredda

Qualcuno potrebbe replicare che il vinile e una fotografia cartacea sono maggiormente soggetti al tempo?

ANDREA: Tutto, anche noi, siamo soggetti al tempo, tutti gli oggetti fisici lo sono, anche il virtuale! E’ anche questo il bello, ben venga la deperibilità, ben venga l’usura perché fa parte del gioco, della vita. Ci sono degli artisti che lavorano, per scelta, esclusivamente sui social, il loro esito visivo è un post, e hanno dei risultati davvero notevoli, ma quello è un discorso finalizzato a quel mezzo. Il punto è che molti fotografi si trovano costretti a collocare tutti i loro lavori in quel medium che non garantisce la massima fruizione, la massima qualità del loro lavoro e quindi diventa un po’ una costrizione.

Pensate di aver raggiunto gli obiettivi che vi eravate prefissati? Siete soddisfatti?

SIMONE: Sì, credo che con “Contatto” abbiamo raggiunto un ottimo risultato soprattutto siamo rimasti felicemente stupiti dal feedback.

CLAUDIO: Non ci aspettavamo che sarebbe piaciuta così tanto, e la cosa che è piaciuta è stata proprio che fosse stampata. Molti ci hanno detto: “Una fanzine! A Cagliari! Non la vedevo dagli anni ’90!”. Questo ci ha fatto capire che si sentiva l’esigenza di tornare a quel tipo di supporto che evidentemente non è ancora tramontato.

SIMONE: Non vogliamo essere ipocriti o anacronistici e dire che la fanzine e/o il libro fotografico dovrebbe tornare ad essere l’unico mezzo di diffusione, però non vogliamo nemmeno pensare che il progresso tecnologico debba annullare tutto il resto. Ci sono però esperienze e tipi di fruizioni che devono, secondo noi, continuare ad esistere.

Tornando al feedback, cosa vi ha stupito di più e cosa non vi aspettavate?

CLAUDIO: Abbiamo finito subito tutte le copie, erano cento!

SIMONE: Soprattutto ci hanno stupito le persone che venivano a parlarci, perché lì abbiamo capito che un minimo ci avevamo preso. Forse non è solo un nostro capriccio quello di dare importanza al fisico. Viviamo tutti vite molto veloci, i mezzi virtuali sono rapidi. Al giorno d’oggi ci soffermiamo davvero poco a guardare le fotografie, se pensiamo a quanto dura una scrollata su Instagram, dieci secondi o forse neanche. Per certe cose c’è bisogno di più tempo, lo percepiamo noi ma abbiamo notato essere un sentimento comune anche ad altre persone.

CLAUDIO: Ci sono state molte persone che erano presenti alla presentazione e non erano amici o conoscenti del “collettivo”. Non abbiamo fatto una vera e propria presentazione del progetto perché volevamo una situazione informale, creare un momento in cui poter parlare di cartaceo, di fotografia dal vivo, e così è stato, perché la gente veniva a porci delle domande, riflessioni.

ANDREA: A noi interessa parlare, ragionare di fotografia dal vivo perché tramite un contatto non virtuale o telematico, possono nascere delle suggestioni molto più interessanti o comunque diverse.

SIMONE: Una mia amica l’altro giorno mi ha detto: “Io la fanzine ce l’ho sul comodino e me la riguardo spesso!”. Ecco anche questa cosa dimostra la differenza tra le due realtà, se tu ci pensi quante volte vai a rivederti una foto su Instagram? Poche, probabilmente zero, c’è sempre roba nuova da vedere.

Alessio Cabras, Claudio Valenti

Prossimi progetti?

CLAUDIO: Continuare “Contatto”. Stiamo già progettando il nuovo numero, una nuova fanzine con un’altra tematica. Ogni volta avrà una tematica diversa, ci saranno fotografi diversi chiamati a lavorare su un tema e le foto saranno sempre smistate all’interno.

Pensate di cambiare fotografi?

CLAUDIO: Assolutamente! Non ci saremo nemmeno noi, saranno tutti diversi. Noi nella prima fanzine abbiamo partecipato sia come organizzatori che come fotografi, perché, essendo la prima, la cosa ci piaceva e volevamo prenderne parte, ma nelle altre ci interesseremo unicamente dell’editing. Il contatto è anche questo: chiamare fotografi tutti diversi, lavorare su una tematica diversa, vedere cosa ne esce fuori e discuterne. Le tematiche sono sempre scelte in maniera collettiva, tutto è scelto insieme.

Siete molto giovani, tra i venticinque e i trent’anni, quanto pensate che abbia inciso la vostra età nel progetto?

CLAUDIO: Molto! Abbiamo tutti tra i venticinque e i trent’anni, siamo la generazione che ha vissuto il passaggio tra l’analogico e il digitale diciamo, abbiamo potuto vedere e vivere entrambe le realtà. Tuttavia abbiamo avuto dei feedback anche di giovanissimi che hanno apprezzato il progetto e riconoscono le potenzialità del cartaceo sebbene non abbiano conosciuto l’analogico.

SIMONE: Oggi come oggi, da parte dei giovanissimi, che non fanno parte della nostra generazione, c’è una corrente che va verso l’inversione di tendenza. Io conosco moltissimi fotografi che ancora oggi lavorano a pellicola e la loro età va dai venti ai quaranta. Ci sono oggi app, filtri che ti permettono di editare la foto come se l’avessi scattata negli anni Novanta, o altre che ti permettono di stampare le foto fatte con i mezzi digitali, quindi probabilmente si sente ancora questa esigenza, c’è questo interesse.

ANDREA: Una grande innovazione di Instagram sono stati i filtri che andavano ad emulare le pellicole, quindi l’imperfezione. Il digitale non seppellisce completamente l’estetica analogica.

CLAUDIO: Se tu postproduci una foto cercando di riprodurla come una foto “vecchia”, passami il termine, operando sulla grana e così via, la cosa che ricrei è quello di rovinare la foto perché il tipo di postproduzione va a degradare la qualità.

SIMONE: C’è da dire che sul piano lavorativo il progresso tecnologico è stato importante e funzionale ai fini del lavoro, perché facendo matrimoni oggi non ti puoi sognare di usare la pellicola! É impensabile. Ma c’è anche una crisi d’identità sulla fotografia digitale.

Nella fanzine ci sono alcune foto che trattano elementi naturali e altre che mostrano invece diciamo “gli scarti” della società, può essere letto come una critica nei confronti della società tecnologica e industriale, e un ritorno alla natura?

ANDREA: Questo è quello che puoi vedere tu ed è molto bello che sia successo ciò. A noi interessa che l’incontro e lo scontro tra le foto e i fotografi, anche qui il concetto di rumore, possa generare letture personali di chi si trova a sfogliare la fanzine. Io e Chiara ci conosciamo ma non ci siamo confrontati su quello che saremmo andati a fotografare. L’incontro tra le mie e le sue fotografie è avvenuto solo nel momento dell’editing, nel momento della fotografia ognuno ha elaborato la sua idea, queste idee poi si incontrano e scontrano antiteticamente nella fanzine e questo è il valore aggiunto che può avere un progetto come “Contatto”.

Andrea Fenu

Come sono nati i vostri scatti?

ANDREA: Ho riflettuto su quali sono gli elementi sonori che accompagnano la mia vita a Cagliari, gli elementi di disturbo, perché il rumore è scarto, fastidio, disturbo, e tutte queste cose. Quali sono questi elementi? Quelli che sento io dalla finestra fondamentalmente: il vetro che viene svuotato, le macchine che sgasano, le macchine che bruciano nel quartiere in cui vivo, il vento anche se non son riuscito a concretizzarlo, ed è interessante che Chiara si sia concentrata proprio sull’elemento del vento! Sono andato a ricercare le fonti visive che facevano suscitare l’elemento dannoso del rumore, perché il rumore è anche dannoso. C’è da dire che io personalmente sono interessato agli scarti ma non tanto per nobilitarli. Noi conviviamo quotidianamente con elementi che sono oggettivamente brutti, ad esempio ora abbiamo davanti dei cassonetti! Questi elementi puntellano la nostra società e il nostro occhio, però, come il nostro naso, alla fine non ci facciamo più caso, ci abituiamo. Il mio interesse era indagare questi oggetti che condizionano la nostra visione estetica all’interno di un contesto urbano.

CLAUDIO: Io nei miei scatti ho cercato di trasfigurare in maniera visiva l’effetto sonoro del rumore. Il rumore visivamente non è niente, quindi ho provato a raccontare in maniera visiva il rumore, e la suggestione che mi è arrivata e poi ho deciso di sviluppare, è stata quella di fotografare elementi sovrapposti, dissonanti, il disordine. Successivamente nelle foto che ho fatto ho selezionato solo le foto che riguardavano pareti, muri in cui ci fosse la sovrapposizione di manifesti, graffiti, scritte cancellate, elemento che secondo il mio punto di vista è visivamente rumoroso, non brutto o bello ma rumoroso.

SIMONE: Io sono partito dall’idea che il rumore a livello sonoro è un disturbo dell’armonia, e ho ragionato su come trasportare questo elemento nella fotografia. In che modo posso creare del rumore? Distruggendo l’armonia! Quindi ho optato per fare delle composizioni sbagliate di ritratti. Al riguardo mi è stato detto che avrei dovuto sbagliarli maggiormente, intensificare questo concetto, perché comunque i ritratti sono belli. Ecco, questo secondo me fa capire che il rumore in fotografia è interpretabile. Per dei piatti che si rompono a terra nessuno ti dirà che non è un rumore, ma il discorso, in fotografia, è più complesso. Volevo rispettare comunque la mia estetica, quello che mi piace fare, che in qualche modo non divergesse eccessivamente da composizioni che avrei fatto in modo “corretto”.

Anche in musica abbiamo gli “esperimenti” della musica contemporanea in cui il rumore non è qualcosa di negativo ed è stato rivalutato come concetto

SIMONE: Sì certo! Per influenze i concetti cambiano. Questo progetto comunque mi ha fatto capire come in fotografia questi concetti possano essere molto relativi e legati a numerosissimi fattori: alle tue esperienze, a quello che sei abituato a vedere, a guardare. Io semplicemente ho fatto dei ritratti per qualcuno giusti, per altri sbagliati, ma seguendo la mia idea ovvero sbagliare una composizione, e li trovo molto rumorosi.