di Sara Forni/Foto di Vittorio Giannitelli
Patrick Zaki, 27 anni, ha una grande passione per la letteratura e le tematiche sociali, tanto che da settembre vive a Bologna, dove frequenta il master internazionale Gemma in studi di genere, per il quale ha vinto una borsa di studio. Deciso a tornare nella sua città natale, Mansoura, per qualche giorno di vacanza in famiglia, dai suoi parenti non arriverà mai.
Zaki viene infatti arrestato dalla polizia egiziana la notte tra il 7 e l’8 febbraio all’aeroporto de Il Cairo. La notizia dell’arresto arriva dopo 24 ore infinite, tra paure e timori, quando nessuno sapeva cosa fosse successo e al termine delle quali si scoprirà non solo della detenzione, ma anche di probabili torture subite, tra cui anche l’elettroshock. Le accuse principali contro Patrick sono “diffusione di informazioni dannose per lo stato e propaganda sovversiva tramite social network”.
I fatti hanno scosso non solo i famigliari di Patrick, ma anche tutti i suoi compagni di corso a Bologna, che da quel giorno non hanno mai allentato la pressione sul caso, evitando così che Zaki venga dimenticato, lasciato al suo destino. Dopo i primi quindici giorni di custodia cautelare, la prima udienza per decidere le sorti di Patrick ha dato esito negativo: la procura egiziana ha respinto il ricorso presentato dai legali di Zaki, prolungando la detenzione di altri quindici giorni. Come più volte denunciato da Amnesty International infatti, in Egitto è tipico rimandare di settimana in settimana la decisione per questo tipo di accuse, portando avanti le sentenze per molto tempo, senza la reale volontà di trovare una soluzione, costringendo così l’accusato in un ‘limbo’ senza uscita. In questo modo però, non solo il rischio è che Zaki non possa più continuare i suoi studi in Italia, ma anche che possa subire pressioni e torture da parte delle autorità egiziane, che rispondono al regime politico dettato da Al-Sisi.
Per evitare che tutto ciò accada, Amnesty International, i famigliari e i tanti amici di Zaki, dall’8 febbraio stanno organizzando delle mobilitazioni di solidarietà, con lo scopo di fare pressioni al Governo italiano e all’ambasciata italiana in Egitto, sperando che la vicenda possa risolversi anche per vie diplomatiche, contando sui rapporti politici ed economici tra i due Paesi. Il 17 febbraio più di 5.000 persone hanno sfilato lungo le strade di Bologna, guidate dai compagni di corso di Patrick affiancati dal sindaco di Bologna, Virginio Merola e dal rettore dell’Alma Mater, Francesco Ubertini.
Le manifestazioni di solidarietà però, a causa dell’emergenza Coronavirus, adesso in Italia sono vietate per evitare che grandi concentrazioni di persone possano contribuire alla diffusione del contagio. Non solo, l’esplosione dell’epidemia ha monopolizzato l’attenzione mediatica. Il rischio adesso è che nessuno parli e scriva più di Zaki e che, spegnendo i riflettori sul caso, si possa ripetere un nuovo caso Giulio Regeni, per il quale si attende la verità sull’omicidio da quattro anni. Per questo, Amnesty International, i famigliari e gli amici di Patrick, stanno cercando ogni metodo alternativo per mantenere alta l’attenzione sulla vicenda: dai selfie con la scritta ‘Free Patrick’, ai sit-in ‘protetti’ da mascherina anti Coronavirus, fino agli striscioni appesi fuori dai balconi delle case perché “Noi non possiamo essere per le strade, ma Patrick può”