Organic Photography. Ritratti in conchiglia

Giordano Suaria di NOC ci racconta come è arrivato da ragionare sui prigionieri della RAF a fare ritratti su conchiglia

Organic Photography. Ritratti in conchiglia

Di redazione wj

Fotografare significa “disegnare con la luce”, ma al di là dell’etimologia o della retorica della parola, mi hanno sempre affascinato i procedimenti fisici e chimici che stanno alla base di questa disciplina.

La magia della camera oscura.

Basta oscurare una stanza e praticare un piccolo foro su una parete per veder comparire sulla parete opposta la fotografia di tutto ciò che esiste al di fuori di quello spazio. La luce viaggia, viaggia e trasporta informazioni. E se quella camera la rimpicciolissimo alle dimensioni di una scatola (scatole stenopeiche o pin-hole) e se alla parete sostituissimo un foglio che, grazie a un’emulsione, sia in grado di mantenere sulla sua superficie quell’immagine proiettata attraverso il foro, ecco che otterremmo una fotografia così per come la intendiamo oggi.

Dalla camera oscura alla fotocamera realizzata con una scatola di scarpe

E se quella scatola la perfezionassimo aggiungendo automatismi ed elettronica, avremmo le odierne fotocamere (non a caso, continuano ostinatamente a volersi far chiamare così).

Fine della prima parte.

La seconda parte inizia, forse, con un sogno.

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Giordano Suaria