Il lavoro di Enrico Genovesi mostra la profondità dei valori della piccola comunità di Nomadelfia: l’accoglienza, la fede, la sobrietà, la giustizia, la fratellanza, e fa riflettere sull’esistenza di possibili modelli di vita alternativi. Un progetto a lungo termine, tra i vincitori dell’edizione 2020 di Closer, che ora si sta trasformando in un libro e che può essere sostenuto prenotando una copia sulla piattaforma di Crowbooks
La vita delle persone all’interno di Nomadelfia si svolge principalmente in un’area di circa 4 km quadrati dove vengono portate avanti attività agricole e mansioni di varia natura, ma la loro relazione con il mondo esterno è continua ed avviene sotto vari aspetti.
Nomadelfia è stata fondata nel 1948 nell’ex campo di concentramento di Fossoli (MO) da don Zeno Saltini con lo scopo di dare un papà e una mamma ai bambini abbandonati. Dopo varie vicissitudini, il piccolo popolo che la compone si è stabilizzato vicino alla città di Grosseto. Un popolo comunitario con una sua Costituzione, che si basa sul Vangelo ed è estremamente dedito all’accoglienza. Il suo nome deriva dai termini greci nomos e adelphia, che significa: “Dove la fraternità è legge”.
Nomadelfia ha una sua storia, una sua cultura, una sua legge, un suo linguaggio, un suo costume di vita, una sua tradizione. È una popolazione con tutte le componenti: uomini, donne, sacerdoti, famiglie, figli.
Per lo Stato è un’associazione civile organizzata sotto forma di cooperativa di lavoro, per la Chiesa è una parrocchia e un’associazione privata tra fedeli. Attualmente conta circa 300 persone, 50 famiglie suddivise in 11 gruppi, di cui quasi la metà bambini e ragazzi, parte pulsante della comunità.
In Nomadelfia tutti i beni sono in comune. Le risorse economiche provengono dal lavoro, dai contributi assistenziali per i figli accolti, e dalla provvidenza, specialmente attraverso le attività di apostolato: stampa, spettacoli, incontri.