Ferite aperte
Le prime giornate di Agosto in Italia non sono solo i giorni dell’esodo vacanziero. Dagli anni Settanta in poi, sono anche quelli del dolore per due stragi che nessuno vuole dimenticare. Parliamo del treno Italicus, saltato in aria la notte tra il 3 e il 4 agosto del 1974, 12 morti e 48 feriti, e della bomba che esplose nell’atrio della stazione di Bologna il 2 agosto 1980: 85 vittime e oltre 200 feriti. Non sono le uniche, ce ne sarebbero altre quattro che hanno qualcosa in comune: Piazza della Loggia a Brescia, Piazza Fontana a Milano, Rapido 904 e il DC-9 Itavia precipitato nel mare di Ustica.
Tutte sono rimaste in parte o totalmente irrisolte e impunite. Tutte hanno visto numerosi depistaggi messi in atto da servizi deviati, agenti di polizia e carabinieri, naturalmente non senza la connivenza di politici, massoni e bande criminali. Le rare volte che si è arrivati a giudizio, in un modo o nell’altro a pagare dietro le sbarre ci sono finiti in pochissimi, causa prescrizione, scadenze dei termini, errori processuali e così via. Nei casi di Bologna e dell’Italicus, così come in quelli di Milano e Brescia, le sentenze definitive e gli esiti delle commissioni di inchiesta hanno però accertato senza la minima ombra di dubbio la matrice nera di queste stragi.
Per quattro di queste, la verità giudiziaria è emersa in modo chiaro, seppur dopo decenni e ha indicato nell’eversione neofascista, mandanti ed esecutori, con sentenze passate in giudicato e con il supporto delle conclusioni di diverse commissioni parlamentari. Non si tratta di un dato da poco per chi ancora lavora quotidianamente per aggiungere altri frammenti utili a ricostruire le tante zone d’ombra che ancora restano. Parliamo delle associazioni delle vittime e di quella di Bologna in particolare, colpevole secondo gli esponenti di governo di aver ricordato alla premier Meloni la responsabilità storiche della destra italiana. Certo non ha usato giri di parole ma il senso del discorso, ossia chiedere all’erede politico del Movimento Sociale Italiano di dissociarsi dal passato, non è né sbagliato, né scorretto.
La premier ha dunque perso l’ennesima occasione di dare un taglio netto a quel filo nero che collega le stragi alla turbolenta politica degli anni di piombo, dichiarandosi antifascista. La Meloni non ha certo responsabilità dirette di alcun tipo così come tanti ex-fascisti come il senatore Ignazio La Russa che invece quegli anni li visse da protagonista nella Milano violenta degli scontri sociali.
Quello che si chiede, in fin dei conti è solo un po’ meno ambiguità, una posizione netta che tagli ogni legame ideologico con il fascismo. Dovrebbe essere un passaggio naturale in una democrazia degna di questo nome ma ancora così non è.
La redazione
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