It’s the end of the world as we know it
Il titolo del bel pezzo dei REM, scritto nel 1987, in realtà era corredato anche da una parentesi in cui compariva la frase finale “and I feel fine”. Oggi, alla luce dei risultati delle elezioni europee, sembra davvero di essere davanti alla fine del “mondo”, inteso in senso geopolitico.
A “sentirsi bene” sono sicuramente le destre nazionaliste, praticamente inesistenti, fino a un paio di decenni fa, mentre ad avere un peso sullo stomaco sono tutti gli elettori che hanno espresso scelte politiche di segno opposto e certamente più vicine al modello di Europa che abbiamo fin qui conosciuto.
Detto che la UE attuale è ben lungi dall’essere la migliore possibile, a scontrarsi sono due visioni di Europa in qualche modo antitetiche, una che, per dirla alla Salvini, vuole “meno Europa” e l’altra che invece vede come unica soluzione un percorso in senso inverso ossia che lavori per creare una vera governance europea a livello finanziario, economico e, visti i tempi, anche militare. Per colmare i ritardi accumulati almeno negli ultimi due decenni e che hanno fatto perdere posizioni alle economie europee, sarebbero necessarie riforme radicali per esempio per unire in un unico soggetto le borse europee così da creare un mercato finanziario con un volume competitivo rispetto ai giganti Cina e USA, così come a tante altre realtà emergenti. Parimenti, con una banca centrale europea veramente tale si potrebbe finanziare con il debito europeo il reperimento delle risorse economiche necessarie per sanare i ritardi strutturali nei nuovi mercati e settori strategici, dalle intelligenze artificiali, ai semiconduttori, passando dalla farmaceutica e dalle tecnologie verdi.
In un’Europa governata dalle destre nazionaliste, però, viene difficile capire come si potrebbero realizzare riforme che di fatto si basano proprio alla rinuncia delle rispettive sovranità in tanti ambiti chiave come quelli accennati in precedenza. Tanto per fare qualche esempio appare difficile che Orban accetti di rinunciare alla propria indipendenza militare, piuttosto che Geert Wilders e la sua Olanda accettino di fare debito comune, considerato che fino a non tanto tempo fa andava in giro per le strade con un cartello che recitava testualmente “Non un centesimo di Euro all’Italia”. Anche senza considerare il cortocircuito che si creerebbe se a vincere le imminenti elezioni americane fosse Trump, che potrebbe imporre nuovamente dazi ai prodotto europei, piuttosto che decidere di “smontare” la Nato, lo scenario che abbiamo davanti dovrebbe preoccupare chi oggi festeggia.
A proposito di brutte notizie, in tutto questo, naturalmente, l’avanzata delle destre minaccia di riportarci indietro nel tempo in tante materie delicate come immigrazione, integrazione ma anche diritti delle donne, dei lavoratori e così via. Si tratta del cosiddetto fronte civile che almeno per ora resiste alle pressioni di governi come quello Meloni che su questi temi non ha dato ancora risposte concrete ma solo allarmanti linee di indirizzo come quelle del piano Mattei o gli accordi con l’Albania per la “cessione” di migranti in eccesso nei nostri centri di accoglienza o detenzione, qual dir si voglia.
C’è un dato negativo, ahimè anche questo, che però rappresenta anche un’opportunità. L’affluenza alle urne che, Italia a parte, è mediamente cresciuta, resta ancora davvero bassa. Questi europei che non vanno a votare sono un serbatoio decisivo per il futuro, ammesso e non concesso di essere ancora capaci di far capire che partecipare al voto è veramente importante se non per sé, sicuramente per il bene delle prossime generazioni.
La redazione
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