Il senso perduto

Se c’è una cosa che non ha senso fare, è scrivere un altro articolo sulla questione israelopalestinese. Non c’è infatti bisogno di altre parole sui torti e sulle ragioni. L’unica riflessione che ci sentiamo di fare e condividere riguarda il tema delle scelte politiche e, cosa forse ancora più importante, la perdita di identità delle “democrazie occidentali”.

L’attacco di Hamas, le migliaia di vittime civili, le atrocità su bambini e neonati, oltre alle riprese in diretta sui social della cattura dei militari israeliani su cui infieriscono guerriglieri così come ragazzini, hanno generato un’ondata di orrore e rabbia in tutto il mondo occidentale. La guerra è mostruosa ma vedere tanta brutalità direttamente sugli schermi del proprio smartphone ha prodotto una vera e propria onda d’urto emotiva che ha moltiplicato l’effetto della carneficina portata a termine da Hamas.

Quello che è successo dopo, ossia la reazione rabbiosa di Israele su Gaza e la sua popolazione, seppur tristemente prevedibile non è però in alcun modo giustificabile. L’assedio e i massicci bombardamenti di Gaza, la sospensione della fornitura di acqua ed energia elettrica, la chiusura dei valichi agli aiuti umanitari sono tutte scelte sbagliate che mettono sullo stesso piano oggettivo il comportamento di una organizzazione terroristica e quello di uno stato democratico. Non ci sono se né ma, distinguo né sofismi: se si sceglie la strada della ritorsione o della vendetta, decade ogni possibilità di reclamare qualsiasi diversità, di iscriversi nell’ipocrita categoria dei “buoni”. L’orrore per la morte di oltre 2000 bambini a Gaza in 17 giorni di conflitto fa il pari o supera quello per la mattanza effettuata nei kibbutz, in una folle classifica di una violenza senza senso che non consente più di distinguere tra soldati e civili.

Dopo i primi giusti, doverosi e comprensibili attestati di solidarietà a Israele da parte di tutti i governi occidentali, Stati Uniti in primis, solo pochi hanno avuto il coraggio di criticare apertamente le scelte dell’esecutivo Netanyahu per la mattanza di civili giustificata dalla necessità di eliminare Hamas.

Governi come il nostro hanno cercato improbabili equilibrismi santificando il diritto di Israele di difendersi (anche attaccando) salvo aggiungere blande raccomandazioni a che non fossero i civili a pagarne il conto ma tacendo la tragica evidenza dei numeri. Allo stesso modo l’esercito di liberi pensatori lottizzati che affolla i talk show in prima e seconda serata hanno adottato la medesima tecnica cerchiobottista ma con due pesi e due misure. Peggio ancora in pochi hanno ricordato, oltre la notizia di cronaca, i ventuno giornalisti già morti sul campo dall’inizio del conflitto. Diciassette palestinesi, tre israeliani, un libanese: un triste record che conferma l’enormità di ciò che sta accadendo a Gaza senza che nessuno batta ciglio.

Fermare questa guerra non significa affatto prendere una posizione a favore dei palestinesi e contro Israele bensì ridare un senso alle nostre identità democratiche e ai principi che le hanno ispirate.

La Redazione

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