La storia siamo noi

In un contesto economico complesso e difficile anche e soprattutto per le conseguenze del conflitto ucraino, il governo Meloni, il primo a guida di un partito in cui militano fascisti mai pentiti come Ignazio La Russa, una delle priorità è certamente lo smantellamento di una serie di diritti civili accompagnata da una pericolosa opera di riscrittura della nostra storia.

Così, mentre gli italiani devono fare i conti con un’inflazione anni Ottanta e un vertiginoso aumento dei tassi di interesse, il governo sembra più interessato a riscrivere le pagine della Resistenza, intervenire in materia di migranti con norme anti ONG, piuttosto che legiferare in tema di unioni civili e maternità surrogate, tanto per fare alcuni esempi. Invece, in pochi mesi abbiamo già sentito esternazioni a dir poco preoccupanti, fino ad arrivare alle parole del Presidente del Senato, la seconda carica della Repubblica, che in un’intervista radiofonica riscrive allegramente quella parte di storia che evidentemente più gli brucia, ossia la Resistenza, arrivando a sovvertire una realtà storica nonché una sentenza definitiva, ossia quella che ricostruiva l’attentato gappista di via Rasella in conseguenza del quale le SS uccisero presso le fosse ardeatine 335 italiani innocenti. Secondo il ragionamento dell’ex missino Ignazio La Russa, infatti, le truppe tedesche oggetto dell’attentato erano “una banda musicale di semi-pensionati” che tradotto significa far ricadere indirettamente la responsabilità della successiva rappresaglia tedesca sugli stessi autori dell’attentato di via Rasella, ossia i partigiani. Il giochino di riscrivere la storia non è nuovo a queste latitudini politiche ma è semplicemente inaccettabile, sia perché si può essere di destra senza essere necessariamente nostalgici del fascismo, sia perché la carica ricoperta da La Russa è il prodotto di una costituzione dichiaratamente antifascista. Serve a poco chiedere scusa a posteriori a chi si è sentito offeso: certe parole non dovrebbero essere nemmeno pensate (e tanto meno pronunciate) da chi ricopre una carica così importante.

Di fronte a questa situazione non si deve aspettare che sia la politica a muoversi. Occorre che la società civile, parola desueta nel nostro Paese, prenda posizione e difenda la storia su cui si basa la nostra Repubblica che è una sola e non può essere riscritta o messa in discussione da un governo, a prescindere dal suo colore. In attesa che chi rappresenta idee diverse da quelle espresse dall’attuale esecutivo si riorganizzi per essere realmente l’espressione di chi vede le cose in un modo diverso, dunque, si deve tornare a fare politica nella quotidianità attraverso scelte coerenti con i principi che si vogliono difendere, stando insieme e, soprattutto, partecipando in prima persona alla vita politica del Paese.

Tre anni passano in fretta ma possono lasciare danni che durano molto più a lungo. Non ce lo dimentichiamo

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