Lavoro nero, morti bianche
Quella delle morti bianche è indubbiamente una perdurante e tragica emergenza e a dimostrarlo ci sono cronache quotidiane e statistiche tanto fredde quanto puntuali. Detto che azzerare gli incidenti mortali sul lavoro più che un obiettivo resterà sempre un’utopia, perché purtroppo non tutti i fattori che concorrono agli infortuni sono controllabili, prevedibili o evitabili anche con il ricorso alle migliori forme di prevenzione e sicurezza, il tragico bilancio italiano si deve anche a malattie croniche del mondo del lavoro nostrano. Secondo le stime dei principali Osservatori nazionali, infatti, i dati ufficiali forniti dall’INAIL andrebbero moltiplicati per due per avere un’idea delle reali dimensioni di questa piaga. Il mancato censimento del lavoro nero, l’alto di numero di morti che non vengono denunciate e l’accertamento parziale da parte dell’INAIL di tutte le denunce ricevute, lascia fuori dal computo ufficiale circa la metà delle morti sul lavoro. Nel nostro Paese non muoiono “solo” due lavoratori al giorno ma addirittura quattro.
Sulla scorta di questa informazione appare evidente come lo sforzo del legislatore e degli esecutivi non si possa concentrare solo sul (recente) potenziamento dell’ispettorato dedito al controllo dell’applicazione delle norme di sicurezza ma debba affiancare a questa azione uno sforzo ancora maggiore per far emergere ed eliminare progressivamente il lavoro nero e tutte le altre forme di sfruttamento. Da Nord a Sud, agricoltura, edilizia, ma anche altri settori come quello manifatturiero, sono pervasi da “imprenditori” senza scrupoli per cui la vita dei propri lavoratori sembra davvero non avere alcun valore. Laddove si calpestano i diritti fondamentali, come l’equa retribuzione, ove si impongono orari e turni da schiavitù senza alcun riconoscimento contrattuale, è assolutamente certo che la sicurezza sul lavoro sia un argomento del tutto sconosciuto.
Casi come quello di Luana, invece, raccontano un mondo del lavoro fatto di aziende “in regola” in termini di inquadramenti contrattuali ma dove in modo pressoché sistematico si rimuovono sistemi di sicurezza dai macchinari o si seguono procedure più rischiose del dovuto, al solo scopo di aumentare produttività e profitti. Nel nostro Paese è diventato normale anche accettare carichi di lavoro eccessivi, piuttosto che svolgere da soli mansioni che una volta richiedevano la presenza di più persone come nel caso di Fabio Palotti, caduto in fondo alla tromba di un ascensore del ministero degli Esteri e ritrovato cadavere il giorno dopo, il 28 aprile, giornata dedicata alle morti bianche dall’International Labour Organization. Non sappiamo come Fabio sia finito sul fondo del vano di quel maledetto ascensore ma siamo abbastanza certi che per lavorare in sicurezza sospesi nel vuoto e appesi a un cavo di acciaio, sarebbe necessario almeno non essere mai da soli. Trentanove anni, una moglie, due figli piccoli e una vita davanti svanita in un istante: non può essere questo il lavoro su cui si fonda la Repubblica italiana.
Amedeo Novelli
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