Diṡorientaménto
diṡorientaménto s. m. [der. di disorientare]. – 1. L’essere disorientato, incerto, confuso: stato di d. intellettuale, morale; creare d. nell’opinione pubblica.
Le scene viste a Roma qualche settimana fa, davanti e dentro alla sede storica della CGIL, sono il riflesso di una società, la nostra, uscita a dir poco malconcia dallo stress pandemico, non solo in termini economici ma sopratutto sociali. È bastato un virus influenzale, uscito da chissà dove, per mettere in crisi prima e in discussione poi, un modello tutt’altro che perfetto ma che fino ad oggi era stato capace di sopravvivere a tutto, ancorché a sé stesso. Alla crisi sanitaria, con il suo bilancio provvisorio di oltre 130.000 decessi e più di 4 milioni di persone contagiate dal Covid-19, si è accompagnato uno tsunami socio economico che ha tragicamente dilatato le differenze tra le classi sociali così come la povertà assoluta, cresciuta secondo le stime attuali di oltre il 30 percento in un solo anno (2019/2020) generando più o meno un milione di nuovi indigenti e portando il numero totale di italiani che non sono più in grado di provvedere al proprio sostentamento a quasi 6 milioni di persone, più o meno il 10 percento della popolazione. Si tratta di un dato inaccettabile e di cui evidentemente non si tiene conto a sufficienza, sia in termini di politiche di aiuto e sostegno, sia per quanto riguarda i rischi di crescenti tensioni sociali, generati dalla disperazione di chi si vede sempre più vicino al baratro.
Le difficoltà del vivere quotidiano, la paura di vedersi sfilare davanti agli occhi non solo il benessere ma anche la sua prospettiva, un mercato del lavoro asfittico e in cui si moltiplicano le forme di precariato, l’elevata pressione fiscale accompagnata da un sistema previdenziale che fagocita sempre più anni di vita lavorativa in cambio di pensioni spesso drammaticamente insufficienti, alimentano un senso di sfiducia nei confronti delle istituzioni e della politica, oggettivamente incapace di trovare soluzioni e sempre più concentrata nella ricerca del consenso e a qualsiasi costo. Ecco perché quanto successo a Roma preoccupa molto ma sorprende fino ad un certo punto. A far riflettere non sono gli anacronistici militanti in divisa nera di Forza Nuova ma l’idea che queste persone possano usare l’esasperazione di alcune fasce di popolazione per nuove azioni violente e senza senso al pari della distruzione della sede nazionale della CGIL.
Ciò che fa male veramente, però, non è il riaffiorare dei fascisti che, politicamente parlando, purtroppo non si sono mai estinti, quanto nuovamente il comportamento della classe politica. Anziché condannare senza eccezioni quanto accaduto, infatti, la destra si è esibita in acrobatici distinguo sulle matrici degli atti squadristi, puntando l’indice non sui violenti ma contro la gestione dell’ordine pubblico, mentre a sinistra si proponevano mozioni per lo scioglimento di Forza Nuova svanite rapidamente nel nulla.
Nessuno che si sia chiesto per esempio, perché, un signor nessuno arrivato a Roma dalla Sicilia, abbia deciso di prendere una pala da un cantiere e colpire giornalisti e poliziotti come se nulla fosse, piuttosto perché un precario della scuola si sia sentito in diritto di colpire al volto con un pugno un reporter. Non sono cose normali, non lo sono mai state e non lo dovranno mai essere.
Amedeo Novelli
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