Piccole crepe di speranza

Sia che si guardi al “piccolo”, il nostro Paese, sia che si passi a una visione globale, sul finire di questo 2019 la geopolitica del pianeta Terra fornisce un quadro che, a seconda di come la si veda, può essere preoccupante o, al contrario, suscitare speranze di un risveglio nei confronti di un modello socio economico globale che si basa sulla ricchezza di pochissimi e sulla povertà della maggioranza della popolazione mondiale. Così mentre, ciò che accade nella Siria del Nord, altro non è che l’ennesima ripartizione degli equilibri tra Russia, USA e relativi alleati, perpetrata a danno dei curdi dell’YPG, vanno guardate con altri occhi le proteste scoppiate in rapida sequenza prima ad Hong Kong, poi in Ecuador, in Iraq, in Catalogna, in Libano e in Cile.

Detto che ognuna di queste vicende ha una storia a sé stante, a unirle tra loro è la partecipazione popolare di grandi masse di cittadini, tenute insieme dalla rabbia e dal malcontento per sistemi che, con le dovute differenze, rispondono tutti al modello unico di economia globale già citato all’inizio. Ad Hong Kong la scintilla è partita dal tema dei diritti civili, questione mai affrontata fino in fondo da Pechino, ma a essere messo in discussione è stato il sistema cinese nel suo complesso, economia compresa. In Catalogna, la protesta indipendentista sia per Madrid che per Barcellona non è solo un problema di sovranità nazionale ma ha le sue fondamenta più solide in ragioni di carattere economico. D’altronde anche da noi per evitare che le pressioni indipendentiste producessero strappi come quello spagnolo si è ragionato su una maggiore autonomia delle regioni subito richiesta, guarda caso, proprio dalle aree più ricche del Paese, come Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna e non certo dal Molise.

Le proteste “sudamericane” in Cile ed Ecuador dimostrano anch’esse che il modello politico disegnato a Washington per l’America di serie B, non funziona perché, come nel resto del mondo anche a queste latitudini, produce diseguaglianze intollerabili, aumentando la povertà dei più in favore delle multinazionali, delle borse e delle relative caste che invece si ingozzano di milioni di dollari.

Le proteste in Iraq e Libano, infine, sono due facce della stessa medaglia, nate oltre che per reclamare condizioni sociali ed economiche migliori, anche per chiedere di vivere in vere democrazie, espressioni del voto popolare e non figli di accordi regolati da stati terzi.

Ad agitare il mondo intero, infine, ci ha pensato la piccola Greta, che potrà anche non piacere, ma che attraverso il problema della salvaguardia dell’ambiente ha innescato una miccia potenzialmente ben più esplosiva delle rivolte “locali” fin qui citate, perché si tratta di un tema che ci riguarda tutti e, soprattutto, perché la causa ultima del riscaldamento globale è ancora una volta il modello economico adottato dal mondo occidentale e che è totalmente insostenibile, non solo per gli esseri umani ma anche per tutte le forme di vita del nostro pianeta.

Amedeo Novelli

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