Il buio oltre la vittoria

Qualche settimana fa sono stati annunciati i vincitori di quelli che possiamo definire senza timore di smentita, i tre più importanti premi in fatto di fotografia e giornalismo, ossia Pulitzer, World Press Photo e Sony World Photography Award. L’edizione 2019 è stata particolarmente felice per i rappresentanti italiani, con Lorenzo Tugnoli sulla ribalta grazie al pluripremiato lavoro sul conflitto e sulla crisi umanitaria in Yemen e Federico Borella, fotografo dell’anno degli SWPA, con il suo reportage sugli effetti del cambiamento climatico in India. A fargli compagnia ci sono poi altri fotografi e reporter italiani, vincitori di premi di categoria di assoluto rilievo.

Fermandosi qui, verrebbe proprio voglia di fare come quasi tutte le testate nazionali che hanno scritto a proposito di questi “successi” con toni che celebravano “la fotografia italiana” e la sua buona salute, misurandola sulla sua capacità di esprimere così tanti talenti.

Detto l’ovvio, ossia che anche la nostra redazione è felice per Lorenzo e Federico così come per tutti gli altri connazionali premiati con questi prestigiosi riconoscimenti, guardando meglio la storia di questi lavori non riusciamo a farci un quadro ottimistico della fotografia e del giornalismo italiani. Non è purtroppo un caso che la stragrande maggioranza dei lavori premiati siano stati pubblicati su magazine o per testate internazionali anziché per committenze italiane. I nostri fotografi, e i fotogiornalisti in particolare, sono senza dubbio bravissimi ma trovano sempre meno spazio in un “sistema Italia” che non solo vive una crisi editoriale che sembra senza fine, ma che è anche strutturalmente inadeguato. Se si escludono le istituzioni private, nel nostro paese non esiste di fatto una formazione fotografica pubblica. Non ci sono scuole e università capaci di un’offerta formativa organica e collegata al mondo del lavoro, così come sono pochissime le agenzie fotografiche nazionali che ancora resistono in un mercato diventato asfittico. Se si aggiunge l’annoso problema del non corretto inquadramento della figura del fotogiornalista nel contratto nazionale, non c’è bisogno di andare oltre con questo elenco di problemi per capire che al di là dell’indiscutibile talento dei nostri fotografi e reporter, ogni volta che “vinciamo” un premio non dovremmo solo festeggiare ma anche e soprattutto riflettere sul perché, dopo i cervelli, anche i nostri migliori “obbiettivi” siano sempre più spesso costretti a lavorare solo all’estero.

Amedeo Novelli

Armàti di paura

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Princesas

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19 metri quadri d’inferno

di Antonio Manta

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Gagauzia, identità in bilico

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