Di Matteo Bergami, Renato Ferrantini e Andrea Mancuso/
foto di Alessandro Barile,
Matteo Bergami (in copertina), Renato Ferrantini
Andrea Mancuso e Grazia Perilli
Con la nuova quarantena e l’Italia divisa in tre parti, il Paese riaffronta l’incubo di chiusure e difficoltà economiche. Il governo Conte ha imposto nuove misure restrittive a partire dal 6 novembre e lungo tutto lo stivale sono montate le proteste di chi, a causa delle serrande abbassate, deve fare i conti con una nuova crisi economica. Ma non ci sono solo i negozianti e i ristoratori. Anche gli operatori culturali, i rider e altri membri della società civile sono scesi in piazza per protestare.
Roma, “Tu ci chiudi, tu ci paghi”
Il 7 novembre duemila persone hanno sfilato da Porta Pia fino al Policlinico Umberto I con la richiesta di misure economiche urgenti per far fronte all’emergenza sociale dovuta alla pandemia da Covid 19.
Al secondo appuntamento dopo il corteo del 31 ottobre erano presenti attivisti dei centri sociali, associazioni di sinistra, lavoratori dello spettacolo e molti giovani delle scuole superiori. La piazza, convocata per le 17.30, non ha avuto momenti di tensione e si è conclusa in Viale dell’Università con un lungo applauso rivolto ai medici e agli infermieri dell’ateneo.
Milano – serve un nuovo modello di vita
In Lombardia si protesta sotto il palazzo della Regione. “Dalla Regione al Comune: avete fallito, ora non pagheremo noi!” si urla. Le ferite di una primavera nefasta sono ancora impresse sulla pelle, la brezza estiva non le ha curate, nessun sollievo perchè nulla è cambiato. Milano si è mobilita, da Piazza Affari a Piazza della Scala, arrivando fin sotto il palazzo della Regione attraverso associazioni, reti, sindacati, singole persone.
Milano non accetta un modello di vita che la vuole assembrata a produrre e isolata a consumare, una sanità votata al profitto più che alla salute delle persone. Rivendica il potenziamento dei servizi medici territoriali, domiciliari e dei servizi di prevenzione e di igiene pubblica, una netto cambio di rotta dalla centralizzazione ospedaliera e dagli investimenti nelle strutture private. Assunzioni a tempo indeterminato per il personale sanitario, salvaguardando il lavoro di cura, “perchè non siamo eroi, siamo persone”.
Milano non chiede, pretende un reddito di base universale, ampliare le tutele, gli ammortizzatori sociali e blocco dei licenziamenti per tutte le lavoratrici e i lavoratori. Imporre protocolli anti-Covid sui posti di lavoro il cui obiettivo deve essere la salute dei lavoratori e non uno scudo penale per i datori di lavoro. Si chiede il riconoscimento dell’educazione come attività essenziale, reintrodurre la medicina scolastica, come l’estensione non precaria del personale docente e non docente e internalizzazione piena dei servizi educativi.
Il 7 novembre, secondo giorno di zona rossa, lo stato di agitazione permanente della Cultura e dello Spettacolo torna a gran voce per chiedere di riconoscere la cultura come attività essenziale che genera lavoro e benessere pubblico: “Siamo invisibili dietro le quinte, siamo invisibili sul palco, siamo invisibili alle istituzioni, ancora oggi dopo quasi 9 mesi di blocco dell’attività”.
Bologna
Uno degli slogan principali usato dai rider durante i loro scioperi è “Non per noi, ma per tutt*!”. Dai fattorini alle partite iva, dai lavoratori dello spettacolo a quelli della ristorazione, sono tanti quelli che in questi mesi sono rimasti ai margini delle politiche messe in campo dal governo per far fronte alla difficile situazione che stiamo vivendo.
Il Covid-19 colpisce tutti ma la crisi sociale ed economica che ne segue non fa altrettanto. Come le grandi piattaforme del food-delivery, c’è chi continua a fare profitti mentre altri restano privi di qualsiasi ammortizzatore sociale o reddito. La pandemia acuisce quelle differenze che attraversano la nostra società. Pare evidente che, rispetto ad alcuni mesi fa quando il lockdown sembrava quasi un momento di ristoro carico di aspettative positive, la situazione sia cambiata radicalmente. C’è chi ha continuato a lavorare per garantire dei servizi essenziali senza che per questo fosse loro garantito un riconoscimento materiale e formale dei rischi corsi.
C’è un malessere diffuso di cui bisogna prendere atto. Union riders Bologna ha organizzato una assemblea pubblica martedì 3 novembre per confrontarsi sulle varie tematiche, incontro avvenuto in piazza maggiore, ordinato e nel pieno rispetto delle normative vigenti.
Sabato 7 novembre gli stessi Rider Union Bologna hanno manifestato il proprio dissenso con una marcia pacifica che ha avuto anche qualche attimo di tensione culminati con gli scontri in galleria Cavour e il successivo arresto di due persone, successivamente rilasciate.