“Le strade dell’apartheid” è un racconto fotografico che scova, attraverso le immagini, un tratto comune, un filo rosso, nelle storie di tre Paesi e di tre popoli solo in apparenza lontani. Nucleo dell’incastro di fili, di storie e di sguardi che qui si prova a raccontare è la continua e progressiva privazione della libertà che ha colpito e tuttora colpisce il popolo palestinese, quello saharawi e quello di religione cattolica dell’Irlanda del Nord.
Il popolo Saharawi non ha una casa, le sue città sono rimaste al di là del muro marocchino. Dalla propria terra sono stati cacciati, costretti ad una traversata nel deserto che li ha portati in Algeria. Un esodo biblico. Al termine del quale sono in attesa del ritorno. Da più di quarant’anni. Oggi esistono due Smara, due Dakhla, due El Ayoun: una nel Sahara Occidentale ed un’altra in Algeria, nel deserto dell’Hammada, quasi a voler mantener vivo quel filo rosso della memoria che li riporta costantemente a casa.
Hebron è un incubo. Più di 700 coloni protetti da oltre 4000 soldati hanno occupato una città. Il muro israeliano, serpente di acciaio e cemento che si snoda in territorio palestinese, divide terra, paesi, famiglie, persone. La densità abitativa dei campi profughi si alza incessantemente anno dopo anno a causa del continuo ammassarsi di case, cose e persone in uno spazio fisico sempre uguale a se stesso. In Palestina, è questa la quotidianità dell’occupazione.
Il conflitto in Irlanda del Nord sembra quasi non essere mai esistito. Dagli accordi di pace del 1998, un velo di nebbia è sceso sull’intera isola. Ed invece a Belfast, nel cuore dell’Europa, i taxi neri continuano ad aggirarsi per le strade: esistono infatti, ancora oggi muri che dividono i cattolici dai protestanti, esistono ancora oggi quartieri nei quali un cattolico non può entrare, esistono Bloody Sunday per le quali ancora oggi nessuno è Stato.
La segregazione fisica e mentale nella quale sono costretti a vivere la loro quotidianità il popolo palestinese, quello saharawi e i cattolici dell’Irlanda del Nord, lega ed accomuna queste storie. Le strade di Belfast, come quelle di Hebron, Tulkarem, Deishe, New Askar, Daklha e Smara trasudano claustrofobia. La si legge nei muri, ma anche negli occhi. Sono piene di questa assenza.
Ed ecco che un filo rosso, potente, emerge. “Luca ci mostra le tracce, le impronte di questi tre popoli privati di diritti e libertà, divisi da muri e filo spinato, dimenticati nell’indifferenza della diplomazia internazionale”, così Giulio Di Meo scrive nella prefazione al libro e continua “Come il cammino delle storie, così la speranza di Luca è quella di rivedere presto questi popoli in cammino verso la libertà. Un atto d’amore, immagini che con l’aiuto delle parole dovrebbero spingerci a prendere posizione, a contribuire nella costruzione di una società meno indifferente e più giusta”. A questo link tutte le info: Le Strade dell’Apartheid.