
Di Andrea Mancuso / Foto di Andrea Mancuso
Nessuna publicità, nessun manifesto per le strade. Apparentemente un giorno qualsiasi di fine estate. Gli ultimi turisti si affollano per le strette vie della Bascarsija, fra negozi di souvenir e ristoranti, osservando incuriositi gli anziani locali che giocano attorno ad una scacchiera dipinta a terra, scattando foto al tramonto dalle colline, mentre le prime luci della città si accendono come stelle ai loro piedi. Ma per quanto ci si affanni, non si può fermare un flusso d’acqua con le mani, la sua forza dirompente scorre fra le dita proseguendo il suo cammino, così la mattina dell’8 settembre Sarajevo si sveglia arcobaleno.

Il primo pride di Sarajevo
Più di duemila persone da tutta la Bosnia e non solo si ritrovano davanti alla fiamma eterna, simbolo della resistenza sul nazifascismo, pronte a sfilare lungo Maršala Tita fino al Parlamento. Il servizio d’ordine è imponente, agenti in tenuta antisommossa pattugliano tutto intorno, i droni sorvegliano dall’alto, il sito ufficiale consiglia per la propria sicurezza di non sfoggiare alcun simbolo almeno finchè non si entri nel corteo. Per accedere all’area protetta bisogna attraversare tornelli e controlli. Cinquant’anni dopo i moti di Stonewall, Sarajevo si prepara al suo primo Pride. Questa non è una parata, questa è una protesta.

Contro le disuguaglianze e le discriminazioni
Una protesta contro la disuguaglianza e le violazioni dei diritti umani contro le persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, intersessuali e queer. Le persone Lgbtiq in Bosnia-Erzegovina sono costrette a vivere in modo invisibile, isolato e non accettato, subendo discriminazioni e violenze in pubblico e in privato, in famiglia e in strada, sul posto di lavoro, a scuola, all’università, all’interno delle istituzioni pubbliche, nei caffè dove devono nascondersi.

La legge
L’attività sessuale maschile e femminile con persone dello stesso sesso è legale dal 1998, mentre solo nel 2016 il Parlamento ha adottato un emendamento di legge per la modifica delle leggi antidiscriminazione esplicitando il divieto di emarginazione basato sull’orientamento sessuale, l’identità di genere e le caratteristiche del sesso. Nonostante ciò, vengono negati spazi sicuri per parlare e socializzare. In tanti sono esposti quotidianamente alla violenza verbale, psicologica e fisica ogni qual volta si esprima la propria identità. L’integrità fisica è compromessa e, in definitiva, il diritto alla vita. “Siamo persone Lgbtiq, ma siamo anche lavoratori, rom, disoccupati, disabili, sorelle e fratelli, figlie e figli, madri e padri, cittadini della Bosnia-Erzegovina. La difficile situazione economica e sociale nel paese, la disoccupazione, le privatizzazioni dubbie, l’emigrazione dal Paese, l’aria e l’acqua inquinate, lo stato di diritto selettivo e tutti gli altri problemi influenzano la nostra vita. Oggi abbiamo l’opportunità di dire che la Bosnia ed Erzegovina può essere migliore, più inclusiva e più unita. C’è stato troppo odio in BiH ed è tempo che l’amore vinca”, dichiara il comitato organizzatore.

L’iniziativa
L’iniziativa è stata lanciata il primo aprile da un gruppo di attivisti provenienti da tutta la BiH (Prijedor, Banja Luka, Sarajevo, Bijeljina, Tuzla) dopo più di un anno di preparazione. Le pressioni subite in questi cinque mesi sono state enormi, dai partiti politici, alle rappresentanze religiose, come non sono mancate le manifestazioni di protesta nei giorni precedenti. A mezzogiono il corteo si muove. Migliaia di persone sfilano lungo Ferhadija colorandola di arcobaleno. Tanti curiosi si affacciano dalle finestre. Molti salutano ricambiati dalla folla. La tensione lascia il posto alla festa, canti, balli, fischietti, bandiere, cartelli di protesta e di orgoglio si stagliano nel cielo. I cori si susseguono, “Ima izać’!”, voglio scendere. Un’espressione comune ascoltata sui trasporti pubblici, ma che allo stesso tempo indica “uscire dall’armadio” o “uscire”, per esprimere il proprio orientamento sessuale, identità di genere verso se stessi o gli altri.

Si arriva infine nella piazza del parlamento, dove avvengono i discorsi finali. Infine un canto per salutare, un canto per lottare. Bella Ciao corre nell’aria.
“Non è la prima volta che usciamo e lottiamo per i nostri diritti umani. Ma oggi per la prima volta siamo uniti nella nostra lotta, usciamo e diciamo che ne abbiamo abbastanza dell’umiliazione quotidiana. Oggi manderemo il messaggio che esistiamo e che non permetteremo mai più a nessuno in questo Paese di picchiarci, imprigionarci, cacciarci di casa e impedirci di vivere con dignità”.
Ima izać’! Recita lo slogan ufficiale del Pride, Ima izać’! Voglio scendere!