di Cristiano Capuano
A poco più di un anno di distanza dalle prime scosse che hanno devastato il Centro Italia, i protagonisti del jazz italiano si sono riuniti per una grande rassegna musicale di scena in quattro centri colpiti dal terremoto. Una mobilitazione massiccia di artisti e pubblico curata da MIDJ, Associazione Musicisti Italiani di Jazz nata nel marzo 2014, con il contributo della SIAE e del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.
Dal 31 agosto al 3 settembre, le località di Scheggino (PG), Camerino (MC), Amatrice (RI), e L’Aquila hanno ospitato oltre 700 musicisti, nella cornice di un’iniziativa itinerante legata da uno spesso filo rosso a “Il jazz italiano per L’Aquila”, manifestazione analoga tenutasi nel capoluogo abruzzese nel settembre 2015.
Da queste due edizioni sono nati altrettanti libri fotografici che hanno raccontato eventi e protagonisti di una rassegna dedicata alla sensibilizzazione e alla raccolta di contributi per la ricostruzione. Ne parliamo nel dettaglio con Emanuela Corazziari.
Ciao Emanuela. Innanzitutto ti chiederei da dove nasce l’idea di intessere una rete di solidarietà tramite un festival musicale con protagonisti di respiro internazionale, e come vi siete interfacciati all’organizzazione della rassegna in territori in cui le ferite del sisma sono ancora visibili.
Ciao a te Cristiano. più che in interesse, è stato un impulso quello che ha generato questo evento, da parte di Paolo Fresu, noto trombettista jazz di fama internazionale e non nuovo ad iniziative sociali e benefiche. E’ stato lui a smuovere letteralmente “mari e monti”, coinvolgendo sponsor e collaborazioni, che hanno dato vita a questi tre anni di presenza, musicale e non solo, nei territori terremotati. Ad onor del vero, nessuno di noi pensa a questi eventi come ad un festival, bensì ad un modo per esserci a 360 gradi. Non appena l’evento ha cominciato a prendere forma, è nato un tam-tam informativo a cui noi fotografi abbiamo risposto prontamente.
Parliamo dell’aspetto più prettamente visuale del progetto: come si è sviluppato il rapporto con i fotografi? Avete mantenuto la stessa schiera del 2015 o ci sono state nuove adesioni?
Nel 2015, il primo anno, abbiamo aderito in modo spontaneo, l’anno scorso data l’ulteriore e improvvisa gravità della situazione (si pensava di replicare solo all’Aquila, poi le scosse ad Amatrice e nelle Marche hanno stravolto tutti i piani) ha fatto sì che iniziasse a prendere forma una certa organizzazione tra i fotografi. Quest’anno c’è stata una vera e propria struttura organizzativa, capitanata dai miei colleghi Andrea Rotili e Paolo Soriani. Si sono prestati ad un faticoso, fondamentale e importante lavoro, che è consistito nel prendere le adesioni di tutti i fotografi, smistarli sui vari eventi nei vari giorni in funzione delle disponibilità, oltre che degli aspetti logistici. E non finisce qui: si stanno occupando anche di raccogliere tutto il materiale e, vista la grande collaborazione, hanno lanciato l’idea di creare una associazione di fotografi di jazz.
Questi due photobooks rappresentano una testimonianza importante e un’efficace copertura del festival. Molto interessante è il fatto che un’iniziativa di quattro giorni abbia significato un incontro proficuo tra l’idea di reportage e un tipo di fotografia di eventi tradizionalmente slegata da una dimensione narrativa. Quali regole vi siete dati nell’editing delle foto e nella stesura dei testi?
Nel 2015 non avevamo alcuna indicazione specifica, eravamo all’Aquila e ognuno di noi era lì per raccontare con il proprio occhio e il proprio cuore cosa stava succedendo. Nel 2016 ci venne chiesto di cercare di coprire tutti i concerti, in modo da onorare tutti i musicisti. Quest’anno l’indicazione era quella di occuparsi ognuno dei propri palchi assegnati, raccontando sia gli aspetti prettamente musicali che anche il contesto. Per quanto riguarda i testi sono stati a cura di chi ha “assemblato” le foto nei fotolibri.
Sappiamo che, sin dal principio, l’iniziativa è stata pensata e articolata per più edizioni; quella del 2016 non andò in scena proprio a causa del sisma, e quella di quest’anno è stata rimodellata in base, appunto, agli ultimi tragici sviluppi. Come ultima domanda, dunque, ti chiederei quali sono le prospettive per il prossimo anno, soprattutto per quanto riguarda il format del fotoracconto.
Alla fine dei concerti, nel 2015, fu subito evidente la volontà di non lasciare questo evento fine a se stesso, ma al contrario, di farlo diventare un appuntamento periodico. Nel 2016 si pensava appunto di replicarlo, quando il 24 agosto cambiò i piani. All’inizio si pensò di annullare l’evento aquilano, poi, grazie alla sensibilità di Paolo (Fresu) e di tutti gli altri organizzatori, si decise di fare comunque l’evento, cambiando la modalità: meno concerti all’Aquila e tantissimi in tutta Italia, dalla Valle d’Aosta a Pantelleria. E così è stato. Purtroppo la scossa del 30 ottobre ha aggiunto altri paesi a quelli già colpiti e questo ha generato l’idea dell’evento per il 2017 come poi è stato effettivamente organizzato: più giorni, più sedi nelle zone del sisma. Permettimi di ringraziare di cuore l’abnegazione che ho visto in questi tre anni da parte di tutti coloro che hanno preso parte a questa esperienza così toccante, da Paolo Fresu a tutto il mondo jazz, dalle istituzioni alla RAI che ha coperto sia televisivamente che via radio i concerti, alle strutture di service, tutti gli sponsor, tutti i miei colleghi fotografi e a chiunque dovessi aver dimenticato.
Le prospettive per il prossimo anno: siamo partiti dall’idea di fornire un fotolibro che coprisse tutti i luoghi e i partecipanti l’evento. Vogliamo che diventi un prodotto che sia la testimonianza del Jazz nelle Terre Terremotate e anche il frutto della sensibilità in termini autoriali dei fotografi che vi partecipano.