Anche se con un giorno di ritardo questa settimana Gli invisibili ci racconta un nuovo fotoreporter.
Abbiamo intervistato Matteo Minnella, del collettivo OneShot Image. Matteo da molti anni lavora con i principali quotidiani italiani e pubblica reportage sui principali periodici nazionali e internazionali. Alcuni anni fa ha fatto la scelta coraggiosa e in controtendenza di fondare una propria realtà produttiva e distributiva, OneShot Image, per fare, come dice lui, un fotogiornalismo diverso e più autentico. Questo aspetto deve farci riflettere almeno su due questioni: il bisogno di trovare una dimensione professionale gratificante e necessaria da un lato e dall’altro ridare al fotogiornalismo quella funzione autentica di linguaggio narrativo della realtà.
Sul primo punto, purtroppo ne abbiamo già parlato su Witness Journal, le grandi agenzie fotogiornalistiche stanno vivendo una fase complessa e incerta dove l’equilibrio tra gestione manageriale e svolgimento quotidiano del lavoro ha definito un rapporto critico, a tratti conflittuale. Dunque sulla carta si riesce a garantire copertura, qualità, rispetto dei diritti dei lavoratori, pareggio di bilancio e contrazione delle spese non necessarie, nella pratica tutto questo diventa complesso, spesso resta soltanto un’enunciazione.
Sul secondo aspetto, e questo è uno dei motivi per i quali abbiamo deciso come redazione di aprire questa rubrica, posso dire con cognizione di causa che, in modo diffuso e ramificato, esiste una grande passione e una grande professionalità che accompagna molti fotoreporter in questo mestiere e che non li fa arretrare davanti alla tentazione di trasformare il fotogiornalismo in una mera esecuzione meccanica al servizio della parola scritta, ma piuttosto continua a far vivere il fotogiornalismo come linguaggio che si intreccia e che arricchisce la parola scritta.
Detto questo, vu invito come sempre a intervenire con stimoli e critiche e vi invito a proseguire nella lettura dell’intervista di questa settimana a Matteo Minnella.
Quando hai scoperto la tua passione per la fotografia?
La fotografia è qualcosa che ti accompagna dal momento in cui inizi a scoprire la curiosità per il mondo che ti circonda. Per me la passione per la fotografia è nata in modo naturale: ricordo che “prendevo in prestito” una vecchia Canon AE-1 di mio padre che custodiva con gelosia e me ne andavo in giro senza scattare per evitare che se ne accorgesse. Mi limitavo a guardare. Con il tempo, ho iniziato ad appassionarmi grazie ai lavori dei grandi autori come Eugene Smith, Ferdinando Scianna o Trent Park. Quest’ultimo forse è quello che per la prima volta mi ha fatto capire che con la fotografia si poteva realizzare qualcosa di unico.
Quando è diventata un lavoro?
Nel 2006 mi sono trasferito a Roma da Palermo perché avevo la necessità di vivere di fotografia. Dopo un percorso di studi in fotografia e un master in fotogiornalismo, ho iniziato una collaborazione con una agenzia. Sono stato catapultato nel mondo del fotogiornalismo e ho dovuto imparare in fretta come muovermi in una città che non era la mia e soprattutto le dinamiche del mondo dell’informazione.
Lavori per qualche agenzia o sei un freelance?
Ho collaborato per anni con diverse agenzie che hanno sempre avuto una visione del fotogiornalismo che non sempre condividevo: guardavano esclusivamente a quello che il mercato voleva, offrendo immagini molto simili a quelle di altre fotografi. Questo modo di lavorare rischiava con il tempo di trasformare la mia passione in un lavoro da impiegato che snaturava la mia visione dei fatti. In modo molto spontaneo mi sono ritrovato a condividere le stesse idee con altri fotoreporter come Christian Mantuano e, insieme a Daniele Stefanini e altri fotografi, abbiamo deciso di creare il collettivo “OneShot Image” che ci ha permesso di essere liberi di raccontare quello che volevamo come volevamo e di collaborare solo con chi avesse la nostra visione del fotogiornalismo.
Di cosa ti occupi nello specifico?
Vivendo a Roma, ho sempre lavorato nel campo dell’attualità politica e sociale. Con la nascita di OneShot, ho deciso di approfondire, parallelamente ad altri lavori, il racconto della politica italiana con un progetto a lungo termine che cerca di analizzare non solo le dinamiche della classe dirigente italiana ma anche l’impatto che ha sulla società civile. Nel corso degli anni mi sono occupato di tematiche diverse coprendo eventi di attualità nazionale ed internazionale.
In cosa consiste il tuo lavoro quotidiano ?
Portando avanti un lavoro a lungo termine, cerco di selezionare giornalmente eventi e situazioni utili per il mio racconto. Questo ovviamente vuol dire tenersi sempre aggiornato su fatti e dinamiche inerenti non solo l’attualità italiana ma anche ciò che accade nel mondo. E’ importate essere consapevoli e conoscere bene ciò che si vuole raccontare.
Per quale motivo ritieni, e se lo ritieni, che il mercato dell’editoria fotografica sia in crisi?
Ho iniziato a lavorare poco prima che scoppiasse la crisi economica che ha avuto enormi ripercussione nell’editoria fotografica. Ho visto tanti fotografi smettere di lavorare perchè non riuscivano ad andare avanti. Purtroppo nell’editoria quando c’è da fare dei tagli si inizia spesso dal budget dedicato all’acquisto delle foto. Questo dipende anche dalla poca cultura fotografica che c’è in Italia. Se provi ad andare in giro e chiedere a una persona qualsiasi il nome di un regista o pittore italiano sicuramente qualcuno ti risponderà Fellini o Caravaggio ma se provi a chiedere il nome di un fotografo italiano molto probabilmente ti risponderanno: Fabrizio Corona. Ecco: questo è uno dei motivi per cui il mercato dell’editoria fotografica è in crisi.
Come vedi il ruolo del foto giornalismo oggi alla luce della crisi del sistema editoriale?
Il fotogiornalismo ha e avrà sempre un ruolo fondamentale. Non riconoscere l’importanza del racconto fotografico vuol dire offrire un’informazione parziale e scadente. Per fortuna esistono ancora realtà editoriali che riconoscono e investono sulla professionalità dei fotogiornalsiti e nei loro lavori.
Secondo te è corretto dire che il foto giornalismo è morto, questa affermazione ha secondo te
un fondamento di verità?
No. Il fotogiornalismo non è morto. Forse non gode di buona salute, così come tutto il mondo del giornalismo. Alcuni pensano che il passaggio dall’analogico al digitale sia stata l’unica causa della crisi del settore. Purtroppo in pochi riconoscono che sono stati gli stessi fotografi a contribuire alla crisi del fotogiornalismo: per anni infatti c’è stata una concorrenza tra fotografi e tra agenzie che si basava unicamente sul prezzo di vendita invece che sulla qualità dell’immagine. Questo gioco a ribasso ha fatto chiudere tante piccole realtà che non riuscivano più a far parte di un settore che stava per implodere; a poco a poco ha sotterrato anche coloro che per primi hanno iniziato a proporre prezzi che umiliavano la professionalità dei fotoreporter con l’unico scopo di mettere in difficoltà altri fotografi. L’era digitale forse ha permesso a molti di scoprire una passione e delle abilità che prima erano più difficili da far emergere. Credo che un vero fotografo sia capace di realizzare una buona foto a prescindere dal supporto tecnico utilizzato.
Ammesso che esista, quale è per te l’etica del foto giornalismo?
L’etica nel fotogiornalismo è la stessa del giornalismo. I fotoreporter, così come gli inviati delle TV o dei giornali, raccontano e documentano per far conoscere un fatto o una storia. Credo che vada sempre rispettato il diritto delle persone a essere informati correttamente. Ognuno di noi ha una sensibilità e un modo diverso di raccontare le cose ma bisogna essere sempre consapevoli della responsabilità e del rispetto che si deve avere per il lettore e anche per chi si sta fotografando.
Quale è il significato oggi di “fare informazione”? Il fenomeno del citizen journalist non è arrestabile e ha ridefinito nuove modalità del mestiere del giornalista e del foto giornalista. Quali saranno a tuo avviso le prossime evoluzioni? In che direzione andrà questo mestiere?
Questo è un argomento che sento particolarmente perchè è una delle cause della crisi del settore. Purtroppo negli ultimi anni sono nate agenzie che hanno iniziato collaborazioni con fotografi amatori a cui ovviamente non interessa nulla se le proprie foto vengono pubblicate e a quale prezzo, ma soprattutto sono fotografi che disconoscono i principi fondamentali del giornalismo. Ognuno è libero di avere l’hobby che vuole e di fotografare quello che vuole, dove vuole. Non accetto però che dei non professionisti partecipino in modo irresponsabile al racconto della realtà dei fatti. Purtroppo i giornali pubblicano inconsapevolmente immagini di persone che non hanno niente a che vedere con il fotogiornalismo: questo avviene perché spesso si è più attenti al prezzo che alla qualità delle immagini. Comprendo e capisco che, per alcuni fatti eccezionali, vengano utilizzate immagini prese dai social di eventi dove non vi è la presenza di fotografi professionisti ma non si può allargare questo ragionamento alla quotidianità. Se non si rimette al centro la professionalità di chi contribuisce a formare l’informazione, viene minata la credibilità del giornalismo.
Quando vedi gallery sui quotidiani online di 170 foto cosa pensi?
Non le guardo, non mi interessano e spero non interessino a nessuno. Ovviamente è il segnale che dietro la scelta di pubblicare 170 foto non c’è una figura professionale come quella di un photo editor. Forse bisognerebbe chiedersi perchè alcune redazioni ritengano che non sia fondamentale avere un professionista dell’immagine che sappia scegliere le foto.
Quando ad un evento o su un fenomeno drammatico come le rotte migratorie attraverso i Balcani o ancora ai festival del cinema ti trovi con un numero di colleghi spropositato, cosa pensi?
Purtroppo esistono dei fotografi che approcciano a situazioni drammatiche in modo superficiale ed egocentrico. In generale però, quando ad un evento ci si trova con un numero spropositato di “persone con una macchina fotografica”, non vuol dire necessariamente che siano tutti dei fotogiornalisti professionisti.
Matteo Minnella nasce a Palermo nel 1982. Dopo gli studi, decide di trasferirsi a Roma per specializzarsi nel 2007 con un master in fotogiornalismo. Dal 2009 è iscritto all’Ordine dei Giornalisti. Segue i principali avvenimenti nazionali specializzando il proprio lavoro su tematiche di attualità sociale, politica ed economica. Nel 2013, insieme ad altri fotoreporter, fonda il collettivo ‘OneShot Image’, specializzato nel racconto del tessuto politico e sociale italiano. Le sue immagini sono state pubblicate dalle maggiori riviste e quotidiani nazionali e internazionali (Internazionale, L’Espresso, Panorama, Vanity Fair, Der Spiegel, Le Monde, The Economist, The New Yorker e altri).