Fondo Fucile, una ferita ancora aperta

Uno sguardo alla periferia di Messina, in uno dei quartieri più complessi della città sorto a seguito del terremoto cittadino a inizi '900. Le baracche costruire allora sono diventate, col passare degli anni, parte integrante del tessuto urbano

Fondo Fucile, dal 1908 una ferita ancora aperta a Messina

Di Marina Lampiasi / foto di Nino Pillitteri

A Fondo Fucile, periferia di Messina, vicino al Carcere e al torrente Gazzi, si è subito accolti da musica napoletana che esce a volume alto dalle auto in sosta, poi e’ l’odore di pulito tra i panni stesi che si fa sentire. Qui ci si aggrappa ostinatamente a una normalità che non c’è, la si scorge nei cognomi scritti su porte di ferro, a sancire un possesso, nelle piccole finestre che si aprono tra le lamiere, nelle parabole arrugginite che sbucano da tetti di amianto.

I servizi essenziali sono minimi e le acque bianche segnano confini tra le case, già separate da corridoi stretti attraverso cui una persona passa a fatica, gli impianti elettrici non sono a norma e i fili pendono pericolosamente dalle case. Poi, poco più su, sono le voci dei ragazzini a invadere l’aria. Giocano in un campo di calcio sterrato, mentre bambini sfrecciano su e giù con scooter e monopattini. La dispersione scolastica nel quartiere e’ molto alta e la pandemia e la didattica a distanza hanno solo accentuato il fenomeno. Si vive di reddito di cittadinanza e pensioni, quando va bene. Un terremoto che ha colpito la città oltre 100 anni fa ha generato una ferita che per troppo tempo si è lasciata sanguinare senza neppure volerla vedere.

Il terremoto di Messina del 1908, certo, ma non solo. Qui è un circolo vizioso di povertà e privazioni materiali e culturali iniziato allora e mai arrestatosi. Baracche provvisorie poi divenute abitazioni stabili negli anni ‘70. Famiglie che ci vivono da più generazioni: prima la nonna, poi la madre o lo zio, e si “eredita” la fortuna di un tetto sulla testa, tetto però di eternit che via via si sgretola e la cui polvere viene respirata dai suoi abitanti. L’asbestosi, malattia polmonare causata dall’inalazione di polvere di fibra di amianto, e’ stata certificata ed oggi non si può far finta di niente.

Le baracche per troppi anni sono passate di generazione in generazione senza possibilità di riscatto, affittate in nero o cedute o occupate abusivamente nella speranza di tempi migliori, di promesse elettorali di alloggi popolari. Politici che qualche volta hanno provato a sanare la situazione specie durante le campagne elettorali senza farlo mai davvero. Adesso le operazioni di sgombero sono iniziate con una prima graduatoria e relativa assegnazione di case, cui seguirà una seconda graduatoria B per le nuove assegnazioni. Saranno consegnate le chiavi di case sfitte per evitare la creazione di altri ghetti. I tempi non sono certi a causa della pandemia da Covid che ha rallentato le procedure.

Contestualmente si dovrà procedere alla demolizione delle baracche, per evitare che altre persone subentrino e dunque interrompere questa catena di precarietà e abusivismo e procedere finalmente alla riqualificazione dell’area. Lascio il Fondo Fucile considerando le nuove prospettive ed insieme riflettendo quanto questa baraccopoli me ne ricordi altre già viste in India o nelle periferie di città dell’America Latina. E che è vero: la povertà si somiglia in tutto il mondo, come i sorrisi improvvisi dei bambini, come la cattiva politica.