Fake news? Decidano gli utenti

Il CEO di Facebook lancia la sua proposta per contenere e combattere le fake news

Da alcuni giorni sui principali giornali italiani e stranieri si è acceso un dibattito sulle dichiarazioni di Mark Zuckerberg a proposito della riforma sulle news che Facebook è in procinto di attuare.

Nello specifico, il presidente e fondatore del più popolare social network al mondo dichiara che per combattere le fake news Facebook si affiderà alla comunità del social.

È del 19 gennaio scorso il post pubblicato dal suo profilo nel quale emergono due notizie rilevanti: la prima riguarda la diminuzione dal 4% al 5% della presenza di news e contenuti pubblici dando priorità alle interazioni tra famiglia e amici, il news feed verrà dunque rivisto, la seconda riguarda proprio il meccanismo attraverso il quale filtrare e fermare le fake news. Saranno proprio gli utenti di Facebook che rispondendo a due domane potranno discriminare o promuovere come attendibile una notizia.

Come anticipa Huffingtonpost.it, le domande sarebbero queste: 1) Riconosci i seguenti siti? (Si/No), 2) Quanto ti fidi di questi singoli siti? (Totalmente/Molto/Abbastanza/A malapena/Per niente).

Vedremo poi se e come il CEO di Facebook darà seguito a questa riforma.

Al momento da Facebook non è arrivata alcuna smentita, dunque tutto sembra portare verso questa direzione nella quale Zuckerberg avrebbe intenzione di arginare e mettere sotto controllo il fenomeno delle fake news.

Come giornale anche noi ci siamo chiesti se tutto questo avesse un senso e quale tipo di conseguenze può avere una scelta così diretta.

C’è un passaggio nel post del CEO di Facebook in cui dichiara che avrebbero potuto decidere internamente cosa fosse falso e cosa no, ma questo non li metteva a proprio agio, poi ci dice che avrebbero potuto chiedere a degli esperti, ma la cosa non avrebbe avuto oggettività, e allora ecco che arriva la proposta popolare di chiedere ai membri, agli iscritti, alla miliardaria community di Facebook di assumersi la responsabilità di decidere cosa è fake e cosa è true.

Se l’obiettivo, il senso di questa scelta, è quello di contrastare la presenza sempre più capillare, strategica e strutturata delle fake news, possiamo tutti convenire che è un obiettivo nobile e condivisibile. Lo strumento con il quale Zuckerberg intende affrontare il problema lo è meno. Di fatto la battaglia contro le fake news delegata alla scelta degli utenti del social è una sostanziale delegittimazione del sistema media: come dire che gli utenti di Facebook hanno la stessa attendibilità del Wall Street Journal o dell’Economist o del The New Yorker in termini di verifica delle fonti, di attendibilità della notizia e di professionalità nella selezione e nella costruzione del flusso informativo.

Io non credo che qualcuno si farebbe operare da un appassionato di chirurgia che frequenta blog in cui si parla delle ultime innovazioni in campo medico. Dunque non si capisce per quale motivo gli utenti di facebook debbano sostituirsi ai giornalisti.

In questo senso la considerazione fatta non vuol dire né che gli utenti di facebook siano tutti una massa di incapaci o di ingenui né che il cittadino non abbia il diritto di segnalare e contro informare nel caso di una palese falsità informativa. Ma ne passa con il dire che il filtro verrà fatto dagli utenti sulla base di due domande che al momento sembrano rappresentare il primo step contro le fake news.

La fase espansiva di populismo a tutti i livelli nella quale parti significative delle nostre società sono finite è il risultato di un fallimento epocale delle classi dirigenti politiche, economiche e professionali ma chiudersi dietro la cura palliativa che la “gente” può e sa decidere su tutto la ritengo una forma di ipocrisia esponenziale. Le nostre società si reggono su ruoli e competenze distinte, complementari ed eterogenee eppure funzionali e reciprocamente utili. La diversificazione dei saperi ha creato quel meccanismo di fiducia e credibilità tra i vari comparti della società che oggi sembra essere terribilmente in crisi ma la cui risposta non sta dentro un social network. Sopratutto se questo strumento spesso è veicolo di offese, sfoghi emotivi o placebo difronte ad evidenti difficoltà socio relazionali. Ovviamente lo spazio di Facebook non è solo questo anzi è uno strumento importante per veicolare contenuti, costruire contatti e condividere contenuti con reti di interesse. Il rischio, parafrasando un vecchio adagio del Nuovo Testamento, è che in modo unanime e acritico si salvi Giuda per crocifiggere Gesù, insomma affidare in modo diretto la selezione dei fake ai singoli utenti rischia di delegare una scelta di responsabilità e competenza all’umore, al pregiudizio e alla partigianeria personale. L’informazione invece è il contrario di personale, è pubblico, è collettivo, è bene comune e strumento di tutela estesa delle diversità ma tutto questo avviene attraverso la pratica di una competenza ed una professionalità che è quella del giornalismo.

Citando le parole di Andrea Iannuzzi sulle pagine de La Repubblica di domenica scorsa:« La battaglia contro le fake news, anziché rafforzare come sarebbe logico il ruolo dei media, ne mette in discussione l’esistenza stessa, ponendoli ai margini del meccanismo, scavalcati da iniziative estemporanee o da strategie pianificate».

Detto ciò resta un problema di credibilità da un lato e di false credenze dall’altro: è il problema del perché spesso i cittadini non si fidano più dell’autorevolezza dei giornali e dei loro giornalisti, del perché si preferisce prendere per buona la prima cosa che viene detta senza verificare, senza confrontare e poi solo come secondo passaggio prendere posizione. Sono quesiti che aprono una riflessione sul ruolo del nostro lavoro e di come lo affrontiamo e non basta più dire che ci sono giornalisti bravi e giornalisti meno bravi. Forse provare a dare risposte concrete a queste problematiche potrebbe essere un modo per contenere proposte illusionistiche e dannose per il bene comune.