Sabato 28 ottobre presso il Centro Sportivo Ruffini a Torino si è svolta la terza edizione della Toret Cup, un’iniziativa promossa dall’associazione culturale e sportivo dilettantistica Toret.
La Toret Cup è un torneo di calcetto a cinque che ha aderito al progetto nazionale Diamo un calcio all’Omofobia. Vi hanno partecipato oltre 200 persone con squadre provenienti da tutta Italia. La particolarità di questo torneo sta nella composizione delle squadre, miste nei sessi e anche nell’orientamento sessuale. È una di quelle iniziative sane e positive dove lo sport diventa strumento, pretesto e divertimento per lanciare un messaggio chiaro e inequivocabile: Stop Omofobia.
Come giornale abbiamo deciso di seguire questa storia urbana e quotidiana passando un’intera giornata con ragazzi, ragazze e intere famiglie arrivate a Torino per giocare un calcio diverso.
Sembra paradossale ma ancora oggi il calcio, che almeno nell’immaginario popolare e collettivo rappresenta lo sport nazionale, è attraversato da profonde contraddizioni culturali e sociali dove l’omofobia, intesa come sistema di atteggiamenti, modi e metodi di relazione che offendono e ledono la dignità altrui, è pratica purtroppo diffusa.
Non stiamo parlando solo ed esclusivamente dello stadio la domenica pomeriggio, è qualcosa che invade e offende la quotidianità di molti giovani nelle loro normali pratiche sportive dilettantistiche. Sebbene la stessa FIGC abbia preso provvedimenti e aderito a iniziative contro l’omofobia nel calcio, la questione resta in prima istanza culturale e territoriale: è un modo di vedere le cose, meglio di non volerle vedere, accettandole e riconoscendole con rispetto.
Allora la Toret Cup si inserisce in questo solco, dentro questa ferita aperta e cerca di ricucirne una parte.
È quello che ci dice Marco, detto Il Muro, membro dell’Associazione Toret e organizzatore dell’evento: «Iniziative come questa hanno lo scopo di includere tutti, provando a raccontare un calcio diverso, ma soprattutto provando a raccontare una società diversa attraverso lo sport».
Alla Toret Cup capita di vedere squadre miste di uomini e donne giocare contro un’intera famiglia che ha deciso di sostenere questo progetto, squadre miste di persone LGBT ed eterosessuali che giocano insieme e ti chiedi cosa ci sia di strano. Appunto niente, stanno solo giocando a calcio, e pure bene.
L’antropologo francese Marc Augé in uno dei suoi testi più importanti, Nonluoghi, sosteneva in modo provocatorio che la società nella quale viviamo sarà veramente democratica quando non avremo più bisogno di usare il cartello “divieto di accesso” per interdire l’accesso alle macchine in un tratto di strada.
Una volta finita e decretata la squadra vincitrice, la Toret Cup ci lascia questa prospettiva: che la nostra società sarà veramente democratica quando non avremo più bisogno di fare tornei misti per dire che tutto ciò è normale e non fa paura.
Alla fine infatti non è importante chi ha vinto il torneo perché a vincere sono stati quei 200 ragazzi e le loro famiglie, eterosessuali, bisessuali e omosessuali, che hanno dato un calcio all’omofobia.